Page 178 - Dizionario di Filosofia
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di  un  sovrano  sovrumano,  il  cui  «  mana  »  si  propaga  nello  spazio  e  nel  tempo.

          Analogamente, il Tao è per lui soltanto la morale, ma questa, o piuttosto i riti restano
          il principio supremo dell’ordine.


                                               IL TAOISMO FILOSOFICO
          Tra le numerose dottrine filosofiche che fiorirono al tempo dei  Regni combattenti

          (secc. IV-III a.C.), alcune furono raggruppate più tardi, nell’epoca Han, sotto il nome
          di « scuola taoista ». Possiamo farci un’idea abbastanza precisa di ciò che essa fu
          grazie a tre opere: il Tao-te-ching, attribuito a Lao-tzû* (o Lao-tze), il Chuang-tzû*,
          dal nome del suo supposto autore, e il Lieh-tzû, dal nome del suo mitico autore. La
          loro importanza letteraria fece a lungo pensare che questi libri rappresentassero tutto

          il taoismo del loro tempo; in realtà vissero allora molti altri taoisti, le cui opere sono
          scomparse,  e  i  filosofi  citati  rappresentano  solo  un  piccolo  circolo  a  tendenze
          mistiche e teoretiche, il cui pensiero si fonda su una tradizione filosofica e religiosa
          molto  antica.  A  fianco  dei  ritualisti  che  elaboravano  la  religione  e  la  morale
          confuciana, alle corti feudali vivevano anche specialisti in arti magiche: indovini,
          astronomi,  medici,  farmacisti.  Lao-tzû,  secondo  la  leggenda,  sarebbe  stato  «
          archivista  »  alla  corte  dei  Chou,  funzione  che  implicava  la  conoscenza  anche  di
          queste  tecniche  magiche.  Così  il  taoismo,  erede  di  vecchi  procedimenti  per  metà

          protoscientifici  e  per  metà  magici  tendenti  ad  aumentare  la  potenza  vitale  e  a
          raggiungere  l’immortalità,  anche  fisica,  razionalizzò  in  parte  credenze  religiose
          preesistenti. Alla base di tali pratiche stava la convinzione sottintesa della necessità
          di accordare l’economia del corpo umano al ritmo della vita universale, la quale non
          conosce né morte né vita, ma solo un’alternanza che non è più perturbante di quella

          del giorno e della notte. Si tratta dunque di ritrovare lo stato di natura, del tempo in
          cui  gli  uomini  non  erano  ancora  pervertiti;  per  questo  Chuang-tzû  condanna  ogni
          forma di scienza artificiale e di progresso tecnico, e, soprattutto, ogni intervento dei
          moralisti  e  dei  politici  nel  ritmo  naturale  della  vita.  Il  vero  saggio  testimonia  il
          proprio amore per il popolo con il non intervento: tale è la dottrina del wu-wei, del «
          senza  azione  »,  di  cui  si  parla  spesso  nel Tao-te-ching.  Come  le  operazioni
          impercettibili  del  Tao  e  del  Cielo  si  esercitano  sul  mondo  senza  che  questo  le
          avverta, così il santo, totalmente disinteressato, lascia che gli individui vivano e si

          sviluppino  senza  intralciarli  o  controllarli,  senza  parlar  loro,  e  liberandoli  degli
          impedimenti della civiltà. La posizione dei taoisti è l’opposto di quella di Hsün-tzû;
          presso  di  loro  il  Tao  conserva  un  valore  simile  a  quello  che  gli  conferisce  il
          pensiero comune: è un principio universale di ordine e di unità. Ma tale principio
          diviene oggetto di meditazione e speranza di salute individuale; esso è immanente a

          tutte le cose e domina l’insieme delle realtà apparenti. Queste ultime sono relative e
          contraddittorie, ma le loro contraddizioni si risolvono nel  Tao, realtà prima nella
          quale  i  contrari  si  compongono  in  armonia.  La  vera  intelligenza  ci  fa  percepire
          l’unità primordiale; non esiste né verità né errore, né sì né no; esistono solo aspetti
          diversi, che dipendono dal punto di vista. Il Tao diviene così la realtà suprema cui
          l’adepto aspira ad unirsi mediante la contemplazione e l’estasi; nel Tao-te-ching, nel
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