Page 170 - Dizionario di Filosofia
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Bibliogr.:  Scritti scientifici e tecnici,  a  Cura  di  C.  Lacaita,  Firenze  1968; Scritti
          scelti, a cura di  D.  Castelnuovo  Frigessi, 4 voll.,  Torino 1972; su  C.: A.  Levi, Il
          positivismo  politico  di  C.  Cattaneo,  Bari  1928;  E.  Sestan, Cattaneo  giovane,  «
          Belfagor  »,  1947;  L.  Ambrosoli, La  formazione  di  C.  Cattaneo,  Milano-Napoli
          1960; S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento Italiano, Pisa 1965;
          Aa.  Vv., Carlo Cattaneo,  Roma 1971;  N.  Bobbio, Una filosofia militante,  Torino

          1971.
          CAUSA. II concetto di causa, corrèlativo a quello di effetto*, è uno dei più dibattuti
          nell’ambito  della  storia  della  filosofìa.  Aristotele  per  primo  lo  analizzò,
          distinguendo quattro specie di cause: causa materiale* (la materia, per es., di cui è
          fatta una statua); causa formale* (la figura o forma della statua); causa efficiente*
          (lo  scultore  che  realizza  la  statua); causa  finale*  (la  ragione,  lo  scopo  per  cui

          l’artista  ha  scolpito  la  statua).  La  suddivisione  aristotelica  fu  largamente  usata
          durante  la  scolastica  e  ulteriormente  ampliata;  si  parlò  infatti  di causa  diretta  o
          indiretta, univoca o equivoca e, particolarmente, di causa prima, nozione alla base
          dell’argomentazione  teologica  a  sostegno  dell’esistenza  di  Dio  detta  «  prova
          cosmologica » o « dalla contingenza del mondo » (v. DIO). Tracce di tali distinzioni
          sopravvissero nel pensiero dei filosofi rinascimentali fino allo stesso Bacone.

          Nella  filosofia  cartesiana  il  concetto  di  causa,  divenuto  un’idea  innata  e  quindi a
          priori, assunse prevalentemente un significato logico e fu inteso come « ragione » di
          un certo effetto. La nozione subì poi una rigorosa e rivoluzionaria critica da parte di
          Hume,  per  il  quale  la  causa  non  è  un’idea  innata,  ma  un’idea  che  nasce  per
          associazione dall’esperienza e quindi a posteriori: il soggetto, vedendo ad esempio
          che al fenomeno A segue costantemente il fenomeno B, finisce col trasformare una
          semplice  successione  temporale  (hoc  post  hoc)  in  una  successione  causale  (hoc

          propter hoc). Kant, riprendendo lo spunto critico di Hume, sostenne che il principio
          di  causa  è  posto  dal  pensiero  stesso  nella  sua  attività  organizzatrice  del  mondo
          fenomenico;  pertanto  il  suo  uso,  legittimo  finché  applicato  ai  dati  sensibili  intuiti
          nello spazio e nel tempo, non è più valido quando si voglia dimostrare resistenza di
          realtà trascendenti l’esperienza.
          Un’ulteriore svalutazione ha subito il concetto nel corso del XIX sec., a opera, tra gli

          altri,  dei  positivisti  (Comte)  e  degli  empiristi  inglesi.  Nel  pensiero  filosofico  di
          questi  ultimi  cinquantaessant’anni,  infine,  il  concetto  di  legge,  inteso  come  pura  e
          semplice  constatazione  di  successioni,  ha  soppiantato  il  tradizionale  concetto  di
          causa. (V. Anche CAUSALITÀ e FINALITÀ.)
          CAUSALITÀ.  Il principio di causalità,  formulato  per  la  prima  volta  da Aristotele,
          afferma il carattere necessario dell’ordinamento delle leggi fisiche. Se per Galileo le

          leggi  fisiche  si  sviluppano  in  una  successione  necessaria  di  cause  ed  effetti,  in
          Laplace tale concezione trova la sua più chiara espressione scientifica. Poiché infatti
          le equazioni del moto (di  Newton) ammettono necessariamente una soluzione, una
          volta conosciute la posizione e la velocità iniziali del sistema fisico e le forze cui è
          sottoposto, « un’Intelligenza che, in un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui la

          natura è animata… e d’altra parte fosse abbastanza vasta per sottomettere all’analisi
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