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CATARSI  (gr. kátharsis).  Nelle  credenze  religiose  dell’antica  Grecia,  processo  di

          purificazione dell’anima attraverso il dolore o la trasmigrazione di essere in essere.
          Tale concetto, che era alla base dei rituali dell’orfismo, venne mutuato dai pitagorici
          in  senso  più  specificamente  terapeutico  e  ascetico  in  rapporto  sia  alla  pratica
          dietetica con la quale mantenevano sano il corpo, sia a quella ascetica con la quale
          miravano alla salute dell’anima.
          Quest’ultima pratica contemplava anche l’impiego della musica, per la sua capacità

          di liberare dalle passioni e dall’irrazionale. Accenni alla virtù catartica della musica
          si trovano anche nelle Leggi di Platone, il quale peraltro, nel mito di Eros (Convito),
          estese il concetto di catarsi anche all’arte in generale intuendo ciò che Aristotele
          avrebbe espresso con maggior rigore. Il concetto di catarsi è uno dei principi più
          discussi della Poetica di Aristotele, e consiste nell’affermazione che la poesia, e in
          particolare la tragedia, libera l’anima dalle passioni attraverso la compassione e il
          terrore. Per quanto si legge nella Politica (VIII, 7), dove, rinviando a ciò che avrebbe

          meglio spiegato nella Poetica, Aristotele parlava di persone in preda a esaltazione
          che all’udire canti sacri si calmavano come se avessero subito una cura medica e una
          catarsi,  il  filosofo  greco  attribuiva  alla  poesia  la  capacità  di  placare  le  passioni
          quasi  come  una  medicina  dell’anima.  La  nozione  di  Catarsi,  non  scevra  da
          un’ambiguità  nel  testo  della  Poetica*,  fu  variamente  interpretata  dai  commentatori
          rinascimentali  che  con  rigoroso  razionalismo  assegnarono  all’arte  come  fine  suo

          proprio un diletto di natura spirituale e in quel diletto riposero la spiegazione della
          catarsi considerandola essenziale (Robortello) ovvero accidentale (Castelvetro), o,
          dominati  da  preoccupazioni  moralistiche  (Vincenzo  Maggi,  Benedetto  Varchi),
          attribuirono  alla  poesia  una  precisa  funzione  educativa,  consistente  nella  capacità
          sua propria di liberare l’anima dai visi e incitarla alla virtù.
          • Il termine catarsi è stato ripreso da alcuni indirizzi della psicoterapia moderna. Per

          J.  Breur  indica  la  distensione  psichica  ottenuta  nei  neurotici  con  l’ipnosi;  in
          psicoanalisi indica un aspetto tecnico dell’azione terapeutica basato sulla possibilità
          che ha il paziente di neutralizzare i sintomi collegati a remote esperienze traumatiche
          attraverso  la  loro  manifestazione  esteriore  (verbale,  mimica,  attiva).  [Il  processo
          viene indicato anche con il termine abreazione.]

          CATEGORÈMA  (gr. katēgórēma,  predicato).  Nella  logica  di  Aristotele,  nozione
          universale  che  si  riferisce  ai  modi  generali  secondo  cui  una  cosa  può  essere
          enunciata relativamente a un’altra: vi sono cinque categoremi: il genere, la specie, la
          differenza, il proprio e l’accidente.
          CATEGOREMÀTICO. Nella logica, si dice di un termine (sostantivo, aggettivo) che ha

          un significato per se stesso. (I termini che non hanno significato se non congiunti con
          altri [le preposizioni, i pronomi, gli avverbi] sono detti SINCATEGOREMATICI.)
          CATEGORÌA  (gr. katēgoría,  attributo,  categoria).  Secondo  Aristotele,  le  categorie
          esprimono  le  determinazioni  ultime  della  realtà,  ciò  che,  in  maniera  non

          ulteriormente  riducibile  può  essere  predicato  dell’essere:  l’elenco  più  completo
          fornito  da  Aristotele,  ricavato  empiricamente,  ne  indica  dieci:  sostanza,  quantità,
          qualità, relazione, luogo, tempo, posizione, stato, azione, passione.  Secondo  Kant,
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