Page 163 - Dizionario di Filosofia
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1956; E. Callot, Problèmes du cartésianisme, Annecy 1956.

          CARTESIO,  nome  italianizzato  dal  nome  lat. Cartesius  del  filosofo  e  matematico
          francese René DESCARTES (La Haye, Turenna, 1596 - Stoccolma 1650). Nato da una
          famiglia  di  ricchi  borghesi,  venne  educato  dai  gesuiti  nel  collegio  di  La  Flèche
          (1604-1612).  Dopo  aver  intrapreso  la  carriera  militare,  e  aver  viaggiato,  in

          Ungheria, in  Germania, in  Polonia, in  Olanda, in  Svizzera e in  Italia, nel 1629 si
          stabilì in Olanda dove rimase vent’anni, soprattutto allo scopo di sottrarsi all’ostilità
          della Chiesa. La regina Cristina di Svezia, piena di ammirazione per lui, lo invitò a
          Stoccolma  nel  1649  perché  le  insegnasse  la  filosofia;  qui  Cartesio  morì  l’11
          febbraio 1650.
          Opere principali: Regulae ad directionem ingenii* (scritte nel 1628 ma pubblicate
          nel 1701); Trattato del mondo (1633), che però non pubblicò per intero per timore

          di  un  conflitto  con  le  autorità  religiose  e  che  nel  1637  ridusse  a  tre  saggi: La
          diottrica, Le meteore e La geometria, preceduti da una prefazione che fu il celebre
          Discorso  sul  metodo*; Meditazioni metafische*  (1641), Principia  philosophiae*
          (1644), Le  passioni  dell’anima*  (1649);  inoltre  una  vasta Corrispondenza  con
          filosofi e principi del tempo.
          Cartesio è stato giustamente chiamato « il padre della filosofia moderna » perché dal

          suo  pensiero  prendono  le  mosse  tutti  i  maggiori  pensatori  dei  Seicento  e  del
          Settecento; studioso di matematica e di geometria prima ancora che filosofo, vide nel
          metodo matematico la via più rigorosa per giungere a verità indiscutibili e pertanto
          auspicò l’estensione del metodo matematico alla filosofia, secondo i criteri della «
          chiarezza  e  della  distinzione  ».  Ma,  mentre  il  contemporaneo  Galileo  aveva
          senz’altro accettato il metodo matematico per lo studio della natura senza indagarne
          la fondatezza, Cartesio si propose di esaminare da filosofo la validità dell’esigenza

          geometrica e matematica, movendo dal presupposto che anche la più evidente delle
          affermazioni aritmetiche potrebbe essere un’illusione, un inganno giocato da un genio
          maligno,  che  ci  fa  apparire  come  vero  e  reale  ciò  che  può  avere  soltanto  la
          illusorietà  di  un  sogno. È questo il « dubbio metodico » esteso a tutti i dati della
          conoscenza, ma esso non è fine a se stesso, come per gli scettici, poiché deve servire
          a  superare  le  incertezze  e  le  perplessità  per  approdare  al  possesso  di  una  salda

          verità, inattaccabile da ogni scetticismo. Cartesio ritiene di poter trovare una sola
          realtà capace di sottrarsi al dubbio; questa realtà è il pensiero, perché il fatto che il
          soggetto dubiti, e quindi pensi, garantisce chiaramente l’esistenza del soggetto stesso.
          « Cogito, ergo sum », « Penso, quindi sono » è la prima salda certezza che il dubbio
          non  può  scalfire,  proprio  perché  il  dubitare  è  pensare.  Ma  la  certezza  di  «  me
          pensante  »,  di  me  come  « res  cogitans  »,  afferma  Cartesio,  non  mi  può  dare
          immediatamente  la  certezza  che  i  contenuti  del  mio  pensiero,  cioè  il  mondo,  i

          rapporti logici, ecc.; siano altrettanto validi. L’« io » è inizialmente come chiuso in
          se  stesso,  ricco  solo  della  certezza  di  sé;  ma  per  Cartesio  l’io  deve  diventare  il
          principio di ricerca della validità di tutto ciò che lo circonda; egli perciò esamina e
          studia i contenuti del pensiero, cioè le idee, che divide in tre classi: idee innate,
          cioè spontaneamente presenti al pensiero, idee avventizie, cioè formatesi attraverso
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