Page 161 - Dizionario di Filosofia
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filosofi e scienziati studiosi di problemi di logica. Carnap sostiene nei suoi scritti

          che  compito  della  filosofia  è  quello  di  chiarire  i  concetti  e  le  proposizioni  della
          scienza; in tal senso la filosofia può essere soltanto analisi del linguaggio. Ritiene
          che fondamento di ogni proposizione non possa essere che l’esperienza e pertanto
          polemizza contro ogni forma di sapere tradizionale di tipo metafisico che si basi su
          asserzioni  non  verificabili  nell’esperienza.  Chiama enunciati  protocollari  quelle
          proposizioni  che  si  riferiscono  direttamente  all’esperienza  immediata,  intesa  sia

          come sensazione elementare, sia come presa di coscienza dell’esistenza di « corpi »
          collocati  nello  spazio  tridimensionale:  funzione  di  questi  enunciati  è  quella  di
          verificare le ipotesis cientifiche. Questa concezione, anche nota come fisicalismo, è
          stata  alla  base  del  tentativo,  avviato  nel  1938  a  Chicago,  di  elaborare  una
          Enciclopedia  delle  scienze  unificate.  In  una  fase  del  suo  pensiero  Carnap  ha
          accentuato il formalismo, ovvero l’esigenza di un’accurata analisi del linguaggio in
          senso  formale  (sintassi),  giungendo  quindi,  anche  per  l’influenza  della  cultura

          americana, ad allargare la considerazione agli aspetti semantici (rapporti tra segno
          linguistico e designato) e pragmatici (comportamento psicobiologico) del linguaggio.
          Bibliogr.: La costruzione logica del mondo (1928), a cura di E. Severino, Milano
          1966; Sintassi logica del linguaggio (1934), a cura di A. Pasquinelli, Milano 1961;

          Analiticità, significanza, induzione, a cura di A. Meotti e M. Mondadori, Bologna
          1971.  Su  C.:  J.  Joergensen, Origini  e  sviluppi  dell’empirismo  logico.  in
          Neopositivismo e unità della scienza, Milano 1958; A. J. Ayer, Logical positivism,
          Londra 1959; P. A. Schilpp, The philosophy of Rudolf Carnap, La Salle 1963.
          CARNÈADE, in gr. Karneádēs, filosofo greco (Cirene 215 circa – Atene 129 circa

          a.C.).  Fu  il  più  illustre  rappresentante  della  Media  accademia.  Fu  mandato  per
          un’ambasceria  a  Roma,  dove  ebbe  occasione  di  trattare  pubblicamente  questioni
          filosofiche: si racconta che un giorno fece l’elogio della giustizia e che l’indomani
          sostenne la tesi opposta, sollevando in entrambi i casi un eguale entusiasmo.
          Cameade è un sostenitore del probabilismo e il suo insegnamento ha per scopo di
          confutare il sensismo degli stoici, la teoria della certezza, l’esistenza degli dei, il

          sommo  bene.  Secondo  lui  la  rappresentazione  non  offre  alcun  criterio  di  rigorosa
          certezza,  cui  non  giunge  nemmeno  la  ragione,  così  che  il  saggio  potrà  preferire  o
          approvare la rappresentazione che giudicherà più probabile (esistono diversi gradi
          nella probabilità), senza che queste preferenze implichino un’opinione o un assenso
          propriamente detto. Funzione della retorica è per Cameade quella di persuadere e di
          indirizzare lo spirito verso questa o quest’altra rappresentazione. Non lasciò nulla di
          scritto, ma conosciamo il suo pensiero attraverso l’opera di Clitomaco, cui attinsero

          Cicerone e Sesto Empirico.
          CARPÒCRATE, in gr. Karpokrátēs, filosofo platonico e teologo gnostico, che insegnò
          ad Alessandria all’inizio del II sec. d.C. Accettò le teorie di Platone su Dio, sulle
          Idee e sui geni, ma in seguito si accostò al cristianesimo, fondendone le dottrine in

          maniera assai strana con le proprie idee originarie. Secondo Carpocrate, il mondo
          sarebbe stato creato da angeli decaduti (dèmoni), unitisi alla materia eterna; esso si
          sarebbe  costituito  da  se  stesso,  indipendentemente  dal  principio  divino.  Da  tale
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