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Presidente della Commissione internazionale di cooperazione intellettuale a Ginevra,
          nel 1928 ottenne il premio  Nobel; condusse negli ultimi anni una vita appartata e
          morì proprio quando sembrava delinearsi il trionfo del nazismo; nel suo testamento
          volle precisare che quantunque sensibile al pensiero cattolico, egli rimaneva vicino
          ai suoi correligicnari israeliti perseguitati dai nazisti.
          La filosofia di  Bergson si affermò agli inizi del secolo ed estese la sua influenza

          soprattutto negli anni tra le due guerre mondiali, contribuendo in modo notevo’e a
          diffondere  uno  spiritualismo  evoluzionistico,  mistico  e  tendenzialmente
          irrazionalistico,  decisamente  opposto  all’intellettualismo  scientistico,  volto  a
          riaffermare il valore teoretico della intuizione.
          Bergson,  che  inizialmente  subì  il  fascino  del  positivismo  evoluzionistico  dello
          Spencer, già con il Saggio sui dati immediati della coscienza avvertì l’esigenza di
          un  evoluzionismo  non  più  meccanicistico  e  capace  di  rendere  conto  anche  dello

          svolgersi  di  eventi  coscienziali,  secondo  una  prospettiva  contraria  e  opposta  alla
          psicologia positivista.
          Secondo lui, infatti, ogni teoria evoluzionistica deve tener conto dell’idea del tempo,
          la  quale  però  si  sottrae  a  considerazioni  di  tipo  matematico,  che  non  colgono  lo
          svolgimento temporale nel suo fluire e sono costrette a ripiegare su una descrizione
          esteriore,  rappresentata  da  una  successione  di  momenti  del  tutto  staccati  l’uno

          dall’altro;  in  questo  senso,  egli  ritiene  che  noi  «  spazializziamo  »  il  tempo
          rappresentandocelo,  ad  es.,  secondo  lo  schema  dei  quadranti  degli  orologi,  che
          appunto suddividono il fluire del tempo in momenti successivi distaccati tra loro. La
          testimonianza  profonda  della  nostra  coscienza  ci  dice,  all’opposto,  che  il  nostro
          vivere interiore è un flusso continuo, è una « durata reale » che nessuna equazione
          matematica  riuscirebbe  a  rappresentare,  se  non  usando  del  modello  spaziale.  In
          questo senso il  Bergson, d’accordo con l’empiriocriticismo, ritiene che la scienza

          fisicomatematica nasca soprattutto da una esigenza di carattere economico, intesa a
          portare ordine e a classificare gli oggetti dell’esperienza interna o esterna. È questo
          il limite dell’attività dell’intelligenza, costretta a classificare, incasellare la realtà e
          quindi a perdere il significato vero e profondo del suo evolversi continuo, della sua
          intima  e  libera  creatività.  Nell’opera  più  famosa,  l’Evoluzione  creatrice*,
          pubblicata nel 1907, il Bergson tentò quindi una totale giustificazione della realtà e

          della  conoscenza,  rifacendosi  alle  esigenze  già  emerse  nei  suoi  primi  scritti,  e
          affermò che  per  cogliere  il  significato  profondo  della  realtà  occorre  usare  uno
          strumento  superiore  all’intelligenza,  l’intuizione.  Per  mezzo  dell’intuizione  lo
          sviluppo della realtà viene colto come continuità e « durata », come slancio creativo
          di una energia spirituale che è matrice sia della realtà materiale sia della coscienza.
          In questo senso, e in polemica con il positivismo meccanicistico e materialistico,
          Bergson  costruì  un’autentica  metafisica,  intesa  a  giustificare  lo  sviluppo  e

          l’espansione della realtà come libera creatività che, appunto in quanto tale, non può
          essere schematizzata e descritta efficacemente dalla scienza tradizionale. La vita è
          pertanto « azione che continuamente si crea e si arricchisce », e si manifesta sia nelle
          forme più rigide e automatiche del mondo vegetale e animale, sia nella coscienza
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