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che  ammiriamo  sulla  terra  non  sono  che  imitazioni  imperfette  della  bellezza

          intelligibile, che il nostro animo conoscerà dopo la morte. (V. SIMPOSIO [Il].) Per il
          neoplatonico  Plotino la bellezza si confonde con la verità e con  Dio.  Per  Kant la
          bellezza  non  esiste  al  di  fuori  di  noi,  ma  risiede  nell’accordo  che  si  realizza  sul
          piano del sentimento tra il meccanicismo deterministico naturale e la nostra libera
          soggettività, come « ciò che piace universalmente e senza concetto », in una « finalità
          senza  fine  ».  I  sociologhi  insistono  sulla  relatività  del  bello  secondo  i  luoghi  e  i

          tempi; per quanto riguarda la nostra epoca, si può parlare di un realismo del bello
          (l’arte considerata come espressione di realtà concrete quali la natura e la società, e
          come  una  trasformazione  permanente  dell’ideale  nel  reale,  attraverso  la  quale  il
          bello  progredisce  di  giorno  in  giorno)  e  di  un  idealismo  del  bello  (arte  astratta,
          ovvero non figurativa). [V. anche ESTETICA.]
          BENE. La nozione di bene costituisce l’oggetto precipuo della morale: il bene è in

          sostanza ciò che questa o quest’altra morale comanda, mentre il male è ciò che essa
          proibisce.
          L’antichità si è sforzata di determinare un bene supremo, valore sommo in rapporto
          al quale tutti gli altri beni avrebbero potuto essere organizzati in ordine gerarchico.
          Per Platone, il supremo bene consiste nell’essere stesso, nel mondo eterno delle idee

          e della ragione; per Epicuro nella serena felicità raggiunta dal saggio; per Plotino
          nella mistica fusione con Dio. Cartesio lo pone nella verità e nella libertà; Spinoza
          nella beatitudine della conoscenza totale; Kant lo riconduce alla « volontà buona ».
          Le idee di bene, o di vero, o di bello, così a lungo considerate immutabili ed eterne,
          si evolvono in realtà secondo le epoche e le società; da ciò non consegue tuttavia una
          valutazione scettica nei loro riguardi, ma piuttosto che tali nozioni progrediscono e si
          costruiscono giorno per giorno, in concomitanza con ogni forma di umano progresso,
          e che costituiscono un limite ideale, continuamente differito, ma sempre obiettivo.

          (V. AZIONE, COSCIENZA, CRITERIO, VALORE.)
          BENJAMIN  (Walter),  filosofo  e  sociologo  tedesco  (Berlino  1892  -  frontiera
          francospagnola 1940). Israelita, comunista militante, fuggì dalla Germania nel 1933,

          rifugiandosi a Parigi; passò in Spagna al tempo dell’invasione tedesca, e si diede la
          morte  quando  la  polizia  spagnola  minacciò  di  consegnarlo  alle  autorità  tedesche.
          Scrisse un volume sul teatro barocco, Origine del dramma tedesco (1928), e molti
          saggi, fra cui L’opera d’arte nell’età della sua riproducibilità tecnica (1936).
          Bibliogr.: In italiano sono disponibili la raccolta di saggi Angelus Novus, a cura di
          R.  Solmi,  Torino 1962; L’opera d’arte nell’età della sua riproducibilità tecnica,

          Torino 1966; Avanguardia e rivoluzione, Torino 1974.
          BENTHAM  (Jeremy),  filosofo,  giurista  ed  economista  inglese  (Londra  1748-1832).
          Studiò  a  Oxford  ove,  nel  1776,  pubblicò  la  sua  prima  opera  (A  Fragment  on
          Government) criticando la teoria del contratto sociale.  Discepolo di  Hobbes e di

          Helvétius, ispirò l’opera di Owen, di Stuart Mill e di Cobden. sviluppò una dottrina
          utilitarista  fondata  sul  principio:  «  La  più  grande  felicità  del  maggior numero  di
          persone  ».  Per  Bentham  il  piacere  è  il  bene,  il  dolore  è  il  male.  Tutto  ciò  che
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