Page 133 - Dizionario di Filosofia
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che ammiriamo sulla terra non sono che imitazioni imperfette della bellezza
intelligibile, che il nostro animo conoscerà dopo la morte. (V. SIMPOSIO [Il].) Per il
neoplatonico Plotino la bellezza si confonde con la verità e con Dio. Per Kant la
bellezza non esiste al di fuori di noi, ma risiede nell’accordo che si realizza sul
piano del sentimento tra il meccanicismo deterministico naturale e la nostra libera
soggettività, come « ciò che piace universalmente e senza concetto », in una « finalità
senza fine ». I sociologhi insistono sulla relatività del bello secondo i luoghi e i
tempi; per quanto riguarda la nostra epoca, si può parlare di un realismo del bello
(l’arte considerata come espressione di realtà concrete quali la natura e la società, e
come una trasformazione permanente dell’ideale nel reale, attraverso la quale il
bello progredisce di giorno in giorno) e di un idealismo del bello (arte astratta,
ovvero non figurativa). [V. anche ESTETICA.]
BENE. La nozione di bene costituisce l’oggetto precipuo della morale: il bene è in
sostanza ciò che questa o quest’altra morale comanda, mentre il male è ciò che essa
proibisce.
L’antichità si è sforzata di determinare un bene supremo, valore sommo in rapporto
al quale tutti gli altri beni avrebbero potuto essere organizzati in ordine gerarchico.
Per Platone, il supremo bene consiste nell’essere stesso, nel mondo eterno delle idee
e della ragione; per Epicuro nella serena felicità raggiunta dal saggio; per Plotino
nella mistica fusione con Dio. Cartesio lo pone nella verità e nella libertà; Spinoza
nella beatitudine della conoscenza totale; Kant lo riconduce alla « volontà buona ».
Le idee di bene, o di vero, o di bello, così a lungo considerate immutabili ed eterne,
si evolvono in realtà secondo le epoche e le società; da ciò non consegue tuttavia una
valutazione scettica nei loro riguardi, ma piuttosto che tali nozioni progrediscono e si
costruiscono giorno per giorno, in concomitanza con ogni forma di umano progresso,
e che costituiscono un limite ideale, continuamente differito, ma sempre obiettivo.
(V. AZIONE, COSCIENZA, CRITERIO, VALORE.)
BENJAMIN (Walter), filosofo e sociologo tedesco (Berlino 1892 - frontiera
francospagnola 1940). Israelita, comunista militante, fuggì dalla Germania nel 1933,
rifugiandosi a Parigi; passò in Spagna al tempo dell’invasione tedesca, e si diede la
morte quando la polizia spagnola minacciò di consegnarlo alle autorità tedesche.
Scrisse un volume sul teatro barocco, Origine del dramma tedesco (1928), e molti
saggi, fra cui L’opera d’arte nell’età della sua riproducibilità tecnica (1936).
Bibliogr.: In italiano sono disponibili la raccolta di saggi Angelus Novus, a cura di
R. Solmi, Torino 1962; L’opera d’arte nell’età della sua riproducibilità tecnica,
Torino 1966; Avanguardia e rivoluzione, Torino 1974.
BENTHAM (Jeremy), filosofo, giurista ed economista inglese (Londra 1748-1832).
Studiò a Oxford ove, nel 1776, pubblicò la sua prima opera (A Fragment on
Government) criticando la teoria del contratto sociale. Discepolo di Hobbes e di
Helvétius, ispirò l’opera di Owen, di Stuart Mill e di Cobden. sviluppò una dottrina
utilitarista fondata sul principio: « La più grande felicità del maggior numero di
persone ». Per Bentham il piacere è il bene, il dolore è il male. Tutto ciò che