Page 132 - Dizionario di Filosofia
P. 132

behaviour,  comportamento).  Metodo  di  ricerca  psicologica  che,  trascurando

          l’introspezione,  studia  con  criteri  puramente  oggettivi  e  sperimentali  il
          comportamento dell’individuo nelle diverse circostanze.
          Tale indirizzo, chiamato anche comportamentismo, psicologia del comportamento,
          psicologia di reazione o psicologia oggettiva è sorto verso la fine del XIX sec. con
          l’opera di Thorndike (L’intelligenza animale), ma è stato teorizzato come dottrina
          dagli studi dell’americano John B. Watson e da quelli del sovietico Bechterev (La

          psicologia oggettiva, 1907-1910).
          Il behaviorismo respinge ogni punto di vista metafisico in psicologia, si rifiuta di
          separare  la  psicologia  dalla  fisiologia,  intendendo  studiare,  mediante  il  metodo
          sperimentale, nella stessa maniera il comportamento animale e umano. I suoi principi
          interpretativi si fondano sulle teorie del riflesso*, che a loro volta si basano su una
          concezione  deterministica  e  materialistica;  le  sue  prospettive  lo  ravvicinano  al
          materialismo dialettico, così come è stato applicato da Pavlov e dai suoi discepoli,

          che si impegnarono in ricerche analoghe. Va precisato che il behaviorismo non fa
          alcuna distinzione tra psicologia animale e umana, mentre Pavlov, con le nozioni di «
          attività nervosa superiore » e di « secondo sistema di segnalazione », mantiene una
          differenza di natura, qualitativa e specifica, tra la vita psichica animale e il pensiero
          umano (Lezioni sul lavoro dei grandi emisferi cerebrali, 1926).
          Analogamente,  si  può  parlare  di  un  behaviorismo  economico,  secondo  il  quale  i

          fenomeni  economici  dovrebbero  essere  compresi  e  studiati  come  fenomeni  di
          comportamento; in particolare  Wesley  C.  Mitchell ritiene che l’economia debba «
          cessare  di  essere  un  sistema  di  logica  pecuniaria,  uno  studio  meccanico  degli
          equilibri statici in situazioni inesistenti nella realtà, per diventare una scienza del
          comportamento ».

          Bibliogr.:  A.  Tilquin, Le  behaviorisme,  Parigi  1942;  numerosi  contributi  sono
          apparsi nelle annate della rivista « Journal of the history of the behavioral sciences
          ».
          BELINSKIJ  (Vissarion  Grigor’evč),  filosofo  e  critico  russo  (Sveaborg,  presso

          Helsinki [oggi Suomenlinna], 1811 - Pietroburgo 1848). Divenne noto con una serie
          di artìcoli di critica letteraria pubblicati negli Otečestvennye zapiski (Annali patrii,
          1839-1846) e nel Sovremennik (Il contemporaneo, 1846-1848). Lottò per il trionfo
          dei princìpi del realismo, contro i sostenitori dell’« arte per l’arte » e le sue idee
          letterarie  influenzarono  tutto  il  pensiero  russo  del XIX  sec.  Politicamente  ancora
          nell’ambito del socialismo utopistico, per le sue posizioni filosofiche si collega già
          al materialismo; viene considerato il creatore dell’estetica rivoluzionaria.

          BELLEZZA. La nozione di bellezza (o di bello) ha interessato i filosofi fin dalla più
          remota antichità: cos’è la bellezza? Esiste indipendentemente da noi, oppure non è se
          non nel nostro spirito? A tali domande essi hanno dato risposte differenti, a seconda
          che fossero realisti o idealisti, adottando in sostanza lo stesso atteggiamento assunto

          di fronte al problema del vero o del bene. Per Platone, « realista delle idee », la
          bellezza esiste in sé, indipendentemente dal nostro spirito, in un mondo puramente «
          intelligibile » più perfetto del mondo di quaggiù e più reale. Le bellezze sensibili
   127   128   129   130   131   132   133   134   135   136   137