Page 68 - I templari e il filo segreto di Hiram
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                definitivamente   l’anima    dell’antico   Egitto,   ormai
                abbondantemente lacerata.
                   In  quel  tragico  415,  precisamente  l’anno  1168  ab  Urbe
                condita,  con  la  morte  d’Ipazia,  la  grande  città  di  Alessandria
                perse  irrimediabilmente  il  ruolo  peculiare  di  massimo  centro
                della  cultura  antica,  tollerante  e  multiforme;  ormai  ridotta  ad
                antro  formicolante  di  fanatici  abbruttiti  dal  culto  in  un  dio
                misogino  e  crudele,  giunto  dal  deserto,  fantasia  di  menti
                allucinate.
                   In quella stagione, tra le più terribili nella storia dell’umanità,
                non fu spento soltanto il mitico faro del porto, ma anche il faro
                della cultura che s’irradiava per tutto il Mediterraneo. E cominciò
                allora, veramente, il Medioevo!
                   Da quattro anni Roma, caput mundi, colma di cristiani simili a
                “zombi”  preoccupati  soltanto  dell’aldilà  e  della  salvezza
                dell’anima,  dediti  alla  lettura  di  un  solo  libro,  immemori  delle
                glorie e delle virtù dei padri, era stata irrimediabilmente stuprata
                dalle orde di Alarico. La sua grande storia volgeva all’epilogo.
                L’antica dignità era stata strappata dai loro cuori!
                   Della  bella  Ipazia  sono  note  almeno  quattro  opere,  bruciate
                dai cristiani con tanto e tale zelo, che se ne ricordano soltanto i
                titoli:
                   -   il  Commentario  sull’Almagesto  di  Tolomeo,  in  cui  si
                occupò  di  astronomia  e,  anche,  di  meccanica;  tra  l’altro
                perfezionò  gli  studi  di  Eratostene  sulla  sfericità  della  terra,
                misurandone con impressionante precisione sia la circonferenza
                che il raggio.
                   -   il  Commentario  sull’Aritmetica  di  Diofanto,  in  tredici
                volumi, in cui si occupò della soluzione di problemi matematici;
                   -   il  Commentario  sulle  Coniche  di  Apollonio,  in  otto
                volumi, in cui si occupò di geometria e descrisse accuratamente
                le orbite dei pianeti;
                   -   una  “Vita  di  Platone”,  trattato  comprensivo  delle  sue
                orazioni  pubbliche  su  tematiche  filosofiche  che  generavano
                interesse e stupore in chi le ascoltava.
                   Ipazia  andava  famosa,  anche,  per  gli  strumenti  scientifici  e
                ottici  da  lei  stessa  inventati,  tra  i  quali  figura  probabilmente  il
                cannocchiale,  ci  sarebbe  voluti  dodici  secoli prima  che  Galileo
                Galilei lo rispolverasse.
                   Le  scarne  notizie  sul  suo  conto  derivano  da  Socrate
                Scolastico,  da  Filostorgio  e  da  Damascio  di  Damasco,  che  fu


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