Page 64 - I templari e il filo segreto di Hiram
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                   Socrate  Scolastico  la  definì  la  “terza  caposcuola”  del
                platonismo, dopo lo stesso Platone e il grande Plotino.

                   In  quell’epoca  tormentata,  dominata  dalla  tirannide  politica
                dell’imperatore Teodosio e dalla tirannide culturale di Ambrogio
                vescovo  di  Milano,  in  cui  coloro  che  cercavano  di  resistere
                all’assolutismo dogmatico erano ridotti alla condizione di reietti,
                la stella della bella maestra nel Serapeo di Alessandria brillava
                fulgida.  Ma,  intanto,  la  situazione  si  andava  ulteriormente
                degenerando.  Alla  morte  del  sanguinario  Teodosio,  acclamato
                grande dalla Chiesa trionfante, il potere era passato a suo figlio
                minorenne,  che  non  poteva  non  chiamarsi  Teodosio  II,  ma  era
                gestito  della  sorella  Pulcheria,  notoriamente  bigotta,  brutta,
                ottusa e soprattutto ignorante.
                   Ipazia  era  pagana  per  dignità  morale  e  intellettuale;
                sostanzialmente agnostica per quanto gnostica, come si addiceva
                a qualsiasi pensatore onesto e serio, remoto ai dogmatismi.
                   In  un’epoca  in  cui  una  conversione  significava  promozione
                sociale,  successo  ed  ammirazione,  Ipazia  andò  controcorrente,
                per dignità, consapevole dell’immensa superiorità della filosofia
                greca  sulla  nuova  religione  sbocciata  sull’orientale  pianta
                dell’ebraismo,  vuota  dell’afflato  della  filosofia,  avulsa  alla
                critica, intollerante verso qualsiasi contestazione.
                   Il dio nato in una stalla, da una vergine, morto e resuscitato
                dopo  tre  giorni:  una  favola  simile  ai  miti  più  antichi  di  Attis,
                Iside e Mitra ma, rispetto ad essi, unico e assoluto, come poteva
                sperare  di  far  breccia  nel  cuore  a  una  maestra  di  filosofia,
                avvezza all’analisi, alla critica, al dubbio?
                   Un  rifiuto,  generato  da  onestà  e  dignità  intellettuale,  che
                sarebbe costato la vita alla bella Ipazia, nonostante annoverasse
                tra i suoi discepoli anche molti cristiani, come Sinesio da Cirene,
                futuro  vescovo.  Probabilmente  la  sua  presenza  era  diventata
                insopportabile per come non lesinava, nei suoi scritti e nella sua
                oratoria, pesanti commenti verso la nuova religione trionfante.
                   Dignità e aristocratico orgoglio impregnavano quella maestra
                di filosofia e astronomia, alla quale erano noti gli esperimenti di
                Eratostene  da  Cirene,  un  tempo  rettore  della  grande  biblioteca
                alessandrina, che aveva spiegato come la terra fosse tonda, simile
                a  enorme  sfera,  al  di  là  di  qualsiasi  ragionevole  dubbio.  Una
                dimostrazione che si era basata sull’osservazione di due obelischi
                di uguale altezza: uno situato in prossimità della prima cataratta


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