Page 68 - La Massoneria Rivelata
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Garibaldi. Più tardi il Generale avrebbe dato ordine di liberarlo,
                ma troppo tardi: era già stato ucciso o era morto a causa delle

                ferite  subite.  Si  tratta  tuttavia  di  una  testimonianza  poco

                attendibile per la natura della fonte e per il periodo alla quale
                risale. Molti anni dopo, quando Dumas, leggendo l’oscuro passo

                delle Memorie, avrebbe chiesto spiegazioni, il Generale avrebbe
                risposto sospirando: «Bisogna che resti così».

                    Il mistero del marito di Anita rimane quindi insoluto ma, nel
                1839, per l’Eroe dei due mondi questo non era un problema: ne

                aveva ben altri, a iniziare dal suo comandante supremo Davide
                Canabarro. Era questi un tipo pletorico, facile all’ira. Inoltre, da

                quando  era  sbarcato  a  Laguna,  era  sempre  di  umor  nero:
                maltrattava subalterni e soldati, inveiva contro i locali, accusati

                di non collaborare in modo adeguato, li tacciava di collusione

                con i preti, che – da anticlericale e Libero Muratore – detestava
                al pari dei filoimperiali. Quando Canabarro seppe che nel vicino
                villaggio  di  Imaruhy  sventolava  ancora  la  bandiera  brasiliana,

                montò su tutte le furie e ordinò a Garibaldi di punire i lealisti.

                    Alla  testa  di  una  formazione  poco  disciplinata  ed  eccitata
                dall’alcol  e  dalla  brama  del  saccheggio,  il  Nizzardo  colse  di

                sorpresa quel borgo isolato, e la guerra mostrò allora il suo volto
                più disumano: uccisioni, stupri e violenze di ogni genere furono

                perpetrati su una popolazione pressoché inerme. Nelle Memorie
                si legge: «Io non ho avuto mai una giornata di tanto rammarico

                e di tanta nausea dell’umana famiglia! Il mio fastidio e la fatica
                sofferta,  in  quel  giorno  nefasto,  per  raffrenare  almeno  le

                violenze  contro  le  persone,  furono  immensi  […]  Non  valse
                l’autorità  del  comando,  né  i  ferimenti  usati  da  me  e  da  pochi

                ufficiali  non  domi  dalla  sfrenata  cupidigia».  Sarà  tutto  vero,

                oppure  Garibaldi,  come  qualcuno  suppone,  ebbe  precise
                responsabilità  nei  fatti  di  Imaruhy?  È  difficile  dirlo,  e  questo

                episodio della sua vita rimarrà, al pari di tanti altri, avvolto nel
                mistero.





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