Page 87 - Il giornalino di Gian Burrasca
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- Viva il socialismo!... -
               E caddi nelle braccia di Virginia, singhiozzando.
               Mio padre si mise a ridere, e poi disse, asciutto:
               - Va bene: ma poiché il socialismo vuole che ciascuno abbia la sua parte di gioia nel mondo,
            perché l'avvocato non ti prende con sé per qualche tempo?
               - E perché no? - esclamò il Maralli. - Scommetto che ho la maniera di farlo diventare un omino...
               - Sentirai che gioia! - disse il babbo. - In ogni modo, siccome io non voglio più vederlo, per me
            lo scopo è ugualmente raggiunto. Piglialo pure... -
               E così fu conchiuso il patto: io sarei stato bandito da casa mia e tenuto in prova per un mese dal
            Maralli, dove potrò riabilitarmi e dimostrare che non sono, in fondo, quell'essere insopportabile che
            dicono tutti.

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               Virginia e suo marito, fin dal loro ritorno dal viaggio di nozze che fecero quando prese fuoco il
            caminetto nel salotto da ricevere, vennero ad abitare questo quartiere che è molto comodo e centrale
            e dove mio cognato ha messo pure il suo studio d'avvocato, che ha un ingresso a sé ma che
            comunica con la casa per mezzo d'un usciolino che mette nella stanza degli armadi. Io ho una
            cameretta piccola, ma elegante, che dà sul cortile e dove sto benissimo.
               In casa, oltre mia sorella e il Maralli, c'è il signor Venanzio, zio del Maralli, che è venuto da
            qualche giorno a passare un po' di tempo presso il nipote, perché dice che questo clima gli giova di
            più alla salute. Però la salute non si sa dove l'abbia: è un vecchio cadente, sordo al punto che
            bisogna parlargli col corno acustico, e ha una tosse che pare un tamburo.
               Dicono però che è ricco sfondato, e che bisogna trattarlo con tutti i riguardi.
               Domani ritorno a scuola.



               10 gennaio.

               In questo momento vorrei avere la penna di Edmondo De Amicis perché la scena che è successa
            a scuola stamani è una di quelle da far piangere la gente come vitelli.
               Appena sono entrato in classe si è sentito un gran brusìo: tutti i compagni avevano gli occhi fissi
            su me.
               Certo   è una   bella   soddisfazione   l'essere   stato   il   protagonista   di   un'avventura   come   quella
            dell'automobile, e io non stavo in me dalla gioia, e guardavo tutta quella massa di ragazzi dall'alto al
            basso, perché nessuno di loro s'era mai trovato a un pericolo come quello che avevo passato io...
               Ma però sbagliavo: ce n'era uno, invece, che ci s'era ritrovato come me... e quest'uno uscì
            faticosamente dal suo posto, puntellandosi con le mani sul banco e mi venne incontro reggendosi su
            una stampella.
               Io mi sentii tutto un rimescolìo dentro l'anima e il corpo, e in un baleno mi andò via tutta la
            vanità d'essere stato un eroe, mentre mi saliva un nodo alla gola e, pallido come un morto, ripetevo
            dentro di me:
               - Oh povero Cecchino! Oh povero Cecchino! -
               In un momento   io   e  il   Bellucci   ci  si   ritrovò   avvinghiati   insieme,   tutti   bagnati   di   pianto,
            singhiozzando, senza poter dire una parola. Tutti i ragazzi avevano le lacrime agli occhi e persino il
            professor Muscolo che aveva incominciato a dire: Tutti fermi, rimase sull'effe che gli uscì di bocca
            come un lungo soffio: il quale finì da ultimo in un dirotto pianto.
               Povero Cecchino, davvero!
               Malgrado tutte le cure che gli hanno fatto fare gli è rimasto la gamba destra più corta e dovrà
            andare zoppo per tutta la vita.
               Ah credi pure, giornalino mio: il vederlo ridotto a quel modo, con la stampella, mi ha fatto una
            grande impressione, e io che mi ero ormai quasi dimenticato il fatto dell'automobile, dinanzi allo
            spettacolo di sì terribili conseguenze, mi accorgo di tutta la leggerezza che mettiamo spesso noi
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