Page 84 - Il giornalino di Gian Burrasca
P. 84
Il servitore del Collalto si chiama Pietro e ha un fare così serio e
una voce così grave che fin dalle prime volte mi ha dato sempre una
grande soggezione.
- Guardi! - mi disse con un tono solenne che mi fece fremere dal
capo al piedi. - Cinque cose aveva la signorina Matilde alle quali
teneva molto e che erano, si può dire, le cose che avesse più care al
mondo: il suo canarino che aveva allevato lei, il suo bel gatto bianco
e nero che aveva trovato e raccolto per la strada lei stessa quando
era piccino, il vaso di vetro di Venezia che era il ricordo di una sua
amica d'infanzia che è morta l'anno passato, il ricamo di seta al
quale lavorava da sei anni e che voleva regalare all'altar maggiore
della chiesa dei Cappuccini, e il tappeto del suo salottino da lavoro,
un tappeto vero persiano che le aveva portato un suo zio da un
viaggio che fece... Ora il canarino è morto, il gatto è in agonia e dà
di stomaco tutta roba gialla, il vaso di vetro di Venezia è in mille
bricioli, il ricamo di seta è rovinato e il tappeto vero di Persia è tutto
scolorito dall'acqua che ha allagato il salottino... -
Tutte queste cose le disse lentamente, con aria dignitosa e mesta
a un tempo, come se raccontasse una storia misteriosa di paesi e di
tempi lontani.
Mi sentivo così avvilito, che balbettai:
- Che devo fare?
- Io – soggiunse Pietro - se avessi la disgrazia di essere ne' suoi
piedi... li adoprerei per ritornare a Firenze di corsa. -
E disse questa freddura con una voce funebre che mi fece
rabbrividire.
Eppure, in fin dei conti, il suo consiglio mi parve il solo che mi offrisse una via di salvezza nella
critica situazione in cui mi trovavo.
Avrei voluto andarmene subito, sicuro com'ero di non incontrar nessuno de' miei parenti; ma
potevo partire lasciando in mani nemiche queste pagine alle quali confido tutta l'anima mia? Potevo
abbandonarti, giornalino mio caro, unico conforto in tante vicissitudini della mia vita?
No, mille volte no!
Zitto, zitto, in punta di piedi, salii nella mia cameretta, mi misi, il cappello, presi la mia borsa e
ritornai giù, pronto a lasciar la casa di mia sorella per sempre.
Ma non feci a tempo.
Proprio nel momento in cui ero per varcare la soglia di casa, Luisa mi agguantò per le spalle
esclamando:
- Dove vai?
- A casa - risposi.
- A casa?
- A quale casa?
- A casa mia, dal babbo, dalla, mamma e dall'Ada...
- E come fai a prendere il treno?
- Non prendo treno: vo a piedi.
- Disgraziato! A casa anderai domani. Collalto ha spedito al babbo in questo momento, la lettera
alla quale non ha aggiunto che queste parole: “Stamani Gian Burrasca in meno di un quarto d'ora ha
fatto tante birbanterie che ci vorrebbe un volume a descriverle. Venga a prenderlo domattina, e
gliele dirò a voce”. -
Mi sentivo accasciato sotto il peso delle mie sventure e non replicai.
Mia sorella mi spinse in camera sua e, vedendomi in quello stato, cedette e un sentimento di
pietà, e passandomi una mano sul capo esclamò:
- Ma Giannino, Giannino mio! Come hai fatto a far tanti danni in pochi minuti che sei rimasto
solo?