Page 81 - Il giornalino di Gian Burrasca
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ieri il Collalto gli ha spedito la famosa lettera, e quel che è peggio con l'aggiunta delle ultime mie
            birbanterie.
               Questo è il nome che egli dà alle disgrazie che possono capitare a un povero ragazzo perseguitato
            dal proprio destino che pare si diverta a ricacciarlo nell'abisso proprio nel momento in cui tenta di
            sollevarsi alla stima dei propri genitori e parenti.
               E le disgrazie, si sa, non vengono mai sole; motivo per cui ieri me ne son successe diverse
            collegate insieme in modo che, se i grandi non fossero sempre propensi a esagerare l'importanza dei
            nostri errori, si dovrebbero considerare logicamente come una disgrazia sola.
               Ed ecco per filo e per segno come andò la faccenda.
               Ieri mattina, mentre la sora Matilde era fuori di casa, andai nel suo salottino da lavoro dove
            avevo visto entrare Mascherino, il grosso gatto bianco e nero prediletto di mia cognata.

               Sul tavolino da lavoro stava la gabbia col canarino, un'altra creatura che gode la protezione della
            sora Matilde la quale, come dicono tutti, vuol molto bene alle bestie mentre non può soffrire i
            ragazzi, cosa, questa, assai ingiusta e che non si spiega.





















               E poi non ho mai capito che razza di bene sia quello di tenere, per esempio, un povero uccellino
            rinchiuso in una gabbia, invece di lasciarlo volare libero per l'aria come è la sua abitudine.
               Povero canarino! Mi pareva che mi guardasse e cinguettando dolcemente mi dicesse come nel
            libro di lettura che avevo in seconda elementare:
               - Fammi gustare, anche per poco, la libertà che da tanto tempo m'è negata! -
               La porta e la finestra del salottino erano chiuse: non c'era pericolo perciò che il canarino potesse
            scappare... Io gli aprii la gabbietta, ed esso si affacciò girando il capino qua e là, tutto sorpreso di
            trovar l'usciolino aperto.  Poi finalmente si decise e uscì dalla prigione.
               Io m'ero messo a sedere su una sedia, col gatto sulle ginocchia e stavo osservando con grande
            attenzione tutte le mosse del canarino.
               Fosse l'emozione o altro, per prima cosa la povera bestiola sporcò un bel ricamo di seta che era
            sul tavolino; ma siccome non era ancora finito, pensai che fosse poco male, ché la sora Matilde
            avrebbe potuto rifarlo facilmente.
               Ma il gatto, forse dando alla cosa una maggiore importanza, volle punire crudelmente l'infelice
            canarino; il fatto è che mi saltò via a un tratto dalle ginocchia, balzò su una sedia che era tra mezzo
            rovesciandola, e di lì sul tavolino, abbrancò il povero uccellino e lo divorò in un boccone prima
            ancora che io potessi pensare a impedire una simile tragedia.


               Però a mia volta volli punire esemplarmente la crudeltà dì  Mascherino  perché in avvenire in
            simile occasione non avesse a ricadere nello stesso difetto.
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