Page 186 - Maschere_Motta
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Carlo Gozzi





                                                          oeta e commediografo (Venezia, 1720 - 1806) fertile
                                                          nel poetare sin dall’infanzia, dopo varie opere, a
                                                    Pquarant’anni compiuti si fece commediografo con
                                                     l’alleanza della compagnia comica d’Antonio Sacco, il
                                                     celebre “Truffaldino”.
                                                       Nel proteggere  la Commedia dell’Arte dall’ormai
                                                     trionfante riforma di Goldoni e dell’abate Pietro Chiari,
                                                     Gozzi voleva dare all’Italia un teatro popolare, ma compose
                                                     quasi subito dei copioni filosofici.
                                                      Col servirsi anzitutto, de Lu cuntu de li cunti di Giambattista
                                                     Basile, approntò dieci fiabe di cui la prima, L’amore delle tre
                                                     melarance, procedeva a canovaccio e metteva in satira,
                                                     buffonescamente, tanto Goldoni che Chiari.
                                                      Alternò poi nelle altre, i dialoghi in endecasillabi con le
                                                     indicazioni per l’improvvisare per le Maschere.
                                                      Continuò sempre ad alludere all’attualità di un gioco di
                                                     revue e con libertà aristofanesca e, tutto sommato, aveva
                                                     ben compreso da conservatore, l’ardita novità sociale del
                                                     realismo goldoniano.
                                                      Da ingegno portentoso e impegnato come fu in altre
                                                     avventure culturali, Gozzi penetrò nella Commedia dell’Arte
                                                     con il furore che lo distingueva, ma di questo furore lasciò
                                                     solo impronte ancora distinguibili ma che il tempo ha
                                                     sbiadito. Infatti, e  come  esempio,  pur  care ai  romantici
                                                    per il tumultuante teatralismo, le sue “fiabe” sono oggi,
                                                    all’estero, soltanto delle occasioni per la regia.












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