Page 173 - Maschere_Motta
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spettacolo ruoli definiti, prevedibili nelle movenze, nei comportamenti, nel costume e nel linguaggio. Fu detta infine
Commedia italiana quando, nel Seicento, il modello fu esportato fuori d’Italia e conobbe grande seguito. Le prime
compagnie di attori itineranti comparvero dalla metà degli anni Quaranta del Cinquecento e subito sfuggirono alla
catalogazione dello storico del teatro. Si andava infatti dalle compagnie che nelle piazze innalzavano palchi im-
provvisati, magari solo per rappresentare qualche sketch alla fine del quale passare con il cappello per raccogliere
l’elemosina, a quelle organizzate e seguite al punto da essere invitate a rappresentazioni di corte. Così la Compagnia
dei Gelosi, che annoverava la bravissima Isabella Andreini nella parte dell’omonima innamorata, ebbe un ruolo im-
portante negli allestimenti teatrali che celebrarono il matrimonio tra Ferdinando de’ Medici, granduca di Firenze, e
Cristina di Lorena (1589). Ma, a dimostrazione di come la versatilità fosse la caratteristica del “nuovo teatro”, i Gelosi
si provarono anche nella recitazione dell’Aminta, dramma pastorale di Torquato Tasso (Ferrara, 1573) e, a qualche
anno di distanza (Mantova, 1579), nell’improvvisazione di una facile commedia di gobbi, così detta perché tutti gli
attori vi recitavano i ruoli tradizionali, con l’aggiunta nella nota “comica” della deformità fisica, generalizzata e per
questo incredibile.
Molto si è detto e scritto intorno alla spontaneità di questo genere teatrale che, proprio perché libero da ambizioni
letterarie, avrebbe parlato al popolo con immediatezza, conquistando allo spettacolo il consenso di chi difficilmente
avrebbe potuto fruirne in altre forme. Capita spesso d’altro canto che la spontaneità sia il risultato di un lavoro di
mediazione tra la tradizione e la novità, ed enfatizzarla eccessivamente significa quindi trascurare i passaggi che la
preparano. La Commedia dell’arte non nacque dal nulla; aveva infatti alle spalle la tradizione del teatro antico (greco
e latino) che lo spirito della farsa popolare aveva tenuto in vita. Inoltre essa potè attingere alla ricchissima tradizione
italiana del Carnevale e derivò dalla lezione rinascimentale quella spinta all’imitazione-emulazione dei modelli pre-
esistenti che consentì creazioni originalissime e fondate su salde radici. L’improvvisazione, insom- ma, non era mai
frutto di arbitrio, ma era decisa su generi codificati e ogni volta prendeva spunto da un nutrito repertorio di entrate,
congedi, intermezzi, tirate.
I numerosi scenari pervenutici attestano il legame con la commedia antica e quella erudita cinquecentesca di
cui si riproponevano i travestimenti, gli equivoci, le beffe, le bastonate, il riconoscimento dei personaggi in finali
inattesi e risolutivi. E a completare i canovacci c’erano poi i virtuosismi scenici, le acrobazie, le danze, la gestualità
fortemente espressiva e gli accompagnamenti musicali.
«Mentre il dramma regolare scritto, nel quale avevano un posto anche i comici, con- divide con i generi della musi-
ca classica l’aspirazione al rigore formale e a una struttura stabile, l’improvvisa è simile al jazz: lo scenario fornisce gli
accordi base dell’insieme, l’atmosfera detta un tempo, le divagazioni a solo sono sostenute e fissate dalle capacità
individuali e dall’interazione sperimentata e abituale con gli altri componenti». Per questi motivi gli attori tendeva-
no a specializzarsi in un ruolo fisso, ciò che d’altra parte la professionalità consentiva loro.
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