Page 81 - Storia della Russia
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Le riforme e lo stato petrini
Per sconfiggere un avversario troppo a lungo sottovalutato, Pietro ristrutturò
completamente la propria macchina militare e cambiò il sistema per mantenerla. Prima del
1705 l’esercito era già stato ampiamente riformato seguendo modelli europei, e nei due
decenni successivi prese forma un nuovo personale militare. Le vecchie classi di servizio
moscovite vennero racchiuse, tutte con gli stessi diritti e gli stessi doveri, in un’unica
nuova categoria, la nobiltà (dvorjanstvo). I nobili erano tenuti a prestare servizio a vita,
secondo la volontà dello zar, cominciando la loro carriera nei ranghi inferiori, e ad
acquisire una certa istruzione, obbligo oneroso cui molti cercavano di sottrarsi. Una legge
del 1714 unificò le terre di pomest’e e quelle di votčina, assicurando i diritti di proprietà,
ma abolì anche la consolidata tradizione dell’élite di suddividere l’eredità fra i figli: ora
soltanto uno, a discrezione del padre, poteva ottenerla, mentre i fratelli dovevano trovarsi
una valida occupazione lontano da casa. La nuova legge, accolta dall’ostilità generale,
provocò forti tensioni all’interno delle grandi casate e fu più infranta che rispettata. La
ristrutturazione di Pietro coinvolse ogni aspetto della vita militare: l’addestramento e
l’equipaggiamento degli ufficiali, prima stranieri, poi con i russi in aumento; la creazione
di un nuovo modello di carriera che sostituisse il mestničestvo, un problema risolto
definitivamente tramite la tabella dei ranghi (1722); il nuovo sistema di reclutamento, che
obbligò tutti i contribuenti maschi della classe inferiore a prestare servizio a vita e rifornì
di uomini la nuova marina (durante il regno di Pietro si raccolsero 300.000 soldati da 53
coscrizioni); l’elaborazione di nuovi regolamenti militari, completata con lo Statuto
militare del 1716; gli straordinari sforzi compiuti per risolvere i problemi di logistica e
rifornimento, oltremodo difficili in un’Europa orientale così scarsamente popolata; lo
sviluppo di una produzione indigena di equipaggiamenti, armi e munizioni; gli ingegnosi
stratagemmi trovati per finanziare questa impresa colossale, che raggiunsero l’apice con
l’introduzione della tassa di capitazione (1719-1722), escogitata proprio per coprire le
spese militari. Si trattava di misure e progetti tutti elaborati e messi in pratica con successo
durante il regno petrino.
Questa grande riorganizzazione, avvenuta nel bel mezzo di una guerra disperata, fu
inevitabilmente difficile: la riforma militare di Pietro, secondo Lindsey Hughes, fu «un
procedere per errori e tentativi, un guazzabuglio di ordini promulgati da diversi quartier
generali, dove capacità di adattamento e intraprendenza sono state sostenute dalla reazione
indignata e istintiva di una Russia ferita dalla propria arretratezza militare». Un processo
che, tuttavia, riuscì a portare alla vittoria contro Carlo XII e a porre basi durevoli: dopo il
1700, fino alla Guerra di Crimea, lo stato russo (malgrado alcune singole sconfitte) vivrà
un secolo e mezzo di straordinari successi militari. Per avere un’altra radicale riforma
militare bisognerà attendere gli anni Settanta dell’Ottocento. Molti cambiamenti attuati da
Pietro diedero pieno frutto solo con il tempo: durante la guerra regnava spesso il caos e
molte decisioni venivano prese secondo i casi; né la capacità di adattare le tecniche di
combattimento esteuropee per sconfiggere Carlo XII poté salvare Pietro dalla completa
disfatta nel 1711 da parte dei potenti ottomani.
Allo stesso tempo lo zar e i suoi consiglieri erano pienamente consapevoli delle
implicazioni di un maggiore potere militare e di un’accresciuta influenza a livello
internazionale. In quel momento della storia europea, un’amministrazione produttiva e