Page 72 - Storia della Russia
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Il codice delle leggi, la riforma della Chiesa e lo scisma

        Le  procedure  burocratiche  mal  si  accordavano  con  la  cultura  sociale  dominante:  come
        sostiene  Geoffrey  Hosking,  l’attività  delle  cancellerie  «implicava  una  gestione  delle
        questioni  ufficiali  sempre  più  impersonale  e  legalistica,  che  rischiava  sempre  di  essere
        irritante  per  una  popolazione  abituata  a  vedere  il  potere  monarchico  come  un  potere
        personale esercitato in base alla tradizione o secondo norme morali di derivazione divina».
        Un simile scontro culturale ebbe ripercussioni gravi nei primi anni del regno di Aleksej,

        succeduto al padre Michail nel 1645. La successione non venne contestata, ma il nuovo
        zar  dovette  affrontare  il  malcontento  popolare  a  causa  di  tasse,  corruzione  e
        regolamentazione  del  servizio  militare.  La  popolazione  di  Mosca  espresse  il  proprio
        malcontento in una petizione di massa presentata ad Aleksej nel 1648: le lamentele erano
        indirizzate direttamente al sovrano, in accordo con la natura personale e patriarcale della
        cultura politica tradizionale. Il giovane zar, però, del tutto inesperto, rifiutò inizialmente la
        petizione,  violando  così  il  tacito  accordo  tra  l’umile  postulante  e  il  pietoso  sovrano,  e
        provocò una rivolta. Gruppi di pomeščiki  di  media  levatura,  preoccupati  dalla  fuga  dei
        contadini  e  dal  declino  della  propria  dignità  militare,  approfittarono  degli  eventi  per
        rinnovare le proprie richieste. Aleksej riuscì a disinnescare la minaccia sacrificando alcuni
        consiglieri impopolari e promettendo una revisione delle leggi incriminate sotto l’egida di
        uno  zemskij  sobor.  Nacque  così  il  Sobornoe  uloženie  (Codice  dell’Assemblea,  o
        conciliare) del 1649.

           L’Uloženie è uno dei grandi monumenti giuridici della Russia. Fu la prima raccolta di
        leggi  applicata  in  ogni  zona  del  paese  e  rimase  il  codice  di  riferimento  fino  al  1830.
        Rappresentò  un  notevole  passo  avanti  rispetto  al  codice  del  1550  poiché  fornì  norme

        giuridiche stabili, di riferimento per molti settori della vita pubblica e sociale, e definì con
        chiarezza  le  procedure  legali  e  giudiziarie.  Fu  anche  la  prima  opera  secolare  a  essere
        pubblicata in Moscovia, con una tiratura di 2400 copie (una cifra enorme per l’epoca) a
        opera della nuova stamperia di Mosca e distribuita agli uffici governativi di tutto il paese.
        Dal Codice traspariva l’impegno di Aleksej per il «buon ordine» del suo regno, interesse
        dimostrato  ampiamente  nel  preambolo  attraverso  la  breve  formula:  «L’amministrazione
        della giustizia… sia uguale per tutti». Questo non significava che ogni grado della società
        sarebbe  stato  ugualmente  favorito,  ma  che  la  giustizia  doveva  essere  amministrata
        equamente e senza corruzione, nell’interesse stesso della società e del sovrano. Nell’élite
        si  stava  dunque  diffondendo  una  visione  consensuale  della  società  come  «comunità
        devota»  ben  ordinata  che  andava  sostenuta:  un  pensiero  rintracciabile  soprattutto  nelle
        frequenti dispute moscovite attorno all’onore personale e all’insulto. Come sostiene Nancy
        Kollmann, si trattava di «uno stato composto da individui pii, uniti in famiglie ordinate
        all’interno di una gerarchia al servizio del signore e dello zar». L’idea che un giusto ordine
        dovesse e potesse essere raggiunto all’interno dello stato e attraverso la legge favorì la
        coesione e l’integrazione sociale.


           I provvedimenti del Codice rispondevano alle insicurezze dello zar e alle più immediate
        lamentele del popolo. I primi capitoli, infatti, descrivono nel dettaglio le prerogative e la
        protezione dello zar e del patriarca con pene severe contro le infrazioni. Tra le altre cose
        venivano  proibite  le  petizioni  dirette:  queste  dovevano  ora  essere  presentate  all’ufficio
        governativo competente (l’umile petizione, però, rimaneva in effetti una forma essenziale
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