Page 48 - Storia della Russia
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centroasiatica della corona in questione (ancora conservata nel Tesoro dell’Armeria a
Mosca). Il termine zar (imperatore), usato in precedenza per riferirsi al khan mongolo,
all’imperatore bizantino e ai re dell’Antico Testamento, cominciò in questo periodo a
indicare il gran principe di Mosca nei discorsi ecclesiastici, anche se, fino al regno di Ivan
IV, fu impiegato solo sporadicamente in contesti secolari. Dopo aver conquistato i khanati
tatari, Ivan rivendicò l’autorità dei khan mongoli. Gli sforzi del piccolo gruppo di
ecclesiastici che elaborò questa immagine e questa rappresentazione del potere dello zar
ottennero uno straordinario successo: nella coscienza del popolo e dell’élite la persona
dello zar divenne sacra e inviolabile, il suo potere indiscutibile.
Nel tentativo di giustificare l’autorità del gran principe in termini religiosi e
pseudostorici, i propagandisti e gli ideologi di Mosca crearono per lui un’immagine di
maestà assoluta e di potere illimitato. Il principe era il possessore di tutte le terre sotto il
suo dominio, che formavano il suo «patrimonio». Inoltre le rudimentali strutture
amministrative della Moscovia non prevedevano nessun controllo istituzionale del potere
del principe e, dopo la caduta di Novgorod, non esistevano più grandi città indipendenti, e
dunque autorità politiche alternative. Nei suoi Rerum moscoviticarum commentarii (1549),
Herberstein scriveva del gran principe moscovita che
nessun monarca al mondo ha un tale potere sul suo popolo. […] Esercita la sua autorità sul clero e sui laici e ha un
dominio assoluto sulla vita e le proprietà dei suoi sudditi: nessuno dei suoi consiglieri ha l’autorità per opporglisi,
o anche solo per essere in disaccordo con lui su qualcosa. Dichiarano apertamente che la volontà del principe è la
volontà di Dio.
Giles Fletcher, mercante e diplomatico inglese, autore di un altro importante resoconto
sulla Moscovia datato 1598, affermava: «Lo stato e la forma del loro governo sono pura
tirannide». Furono queste interpretazioni dell’autorità politica moscovita a diffondersi in
Europa, facendo nascere una visione dell’«autocrazia» come forma dispotica e oppressiva
dell’assolutismo. A rigore, samoderžec significava semplicemente un re che gode di piena
indipendenza, e nelle traduzioni diplomatiche veniva reso con «sovrano». Ciò che viene
qui descritto ora è argomento di estrema importanza poiché il sistema politico che emerse
dalle guerre civili del XV secolo e si consolidò nel XVI influenzò in maniera decisiva il
successivo sviluppo politico del paese. Il potere assoluto del principe, posto al di sopra di
tutti gli altri membri della corte, fu garanzia per la stabilità e la stessa sopravvivenza della
società. Paragonata alle corti da cui provenivano gli osservatori stranieri, l’autorità
moscovita era certamente più oppressiva verso i singoli individui, e i servitori appartenenti
all’élite godevano di pochi privilegi che li distinguessero dai loro simili di rango inferiore.
Potevano subire persino maltrattamenti, violenza fisica e percosse, considerati un disonore
inaccettabile fra gli aristocratici di altre nazioni. Dal XV secolo in poi (fino al XVIII)
divenne addirittura normale per i servitori definirsi «schiavi» (cholopy) del principe. I gran
principi potevano comportarsi in modo spietato e brutale con chi si opponeva loro o li
contrariava; rafforzando il potere che detenevano sulle antiche terre della Rus’ e creando il
sistema del pomest’e, si arrogarono il diritto di pretendere un servizio da ogni suddito,
obbligo reso esplicito e sistematico dalle ordinanze di Ivan IV.
Tuttavia, studi recenti hanno iniziato a mettere in dubbio certi stereotipi sul dispotismo
autocratico. Il cerimoniale e i rituali religiosi che circondavano il principe contribuirono a
creare questa impressione di potere assoluto. Anche se i costumi sociali dell’epoca, e non
solo in Russia, tolleravano una notevole violenza fisica (come dimostra il caso di Ivan III),