Page 47 - Storia della Russia
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Iosif,  consideravano  invece  la  Chiesa  russa  parte  di  quella  universale  e  predicavano
        povertà, umiltà e ascetismo come professato dall’esicasmo. L’immagine tradizionale che
        enfatizzò lo scontro tra «sostenitori» e «avversari della proprietà» all’interno della Chiesa
        in Russia è probabilmente esagerata, ma resta comunque evidente che i gran principi si
        adoperarono per evitare che l’accumulazione di terre da parte del clero riducesse le loro
        risorse (ma senza applicare misure radicali come la secolarizzazione dei monasteri inglesi
        attuata da Enrico VIII), cercando contemporaneamente di mantenere un forte legame tra
        l’autorità principesca e quella ecclesiastica.

           La discussione sulle proprietà della Chiesa diede voce a un’altra importante dottrina,
        quella  di  «Mosca  terza  Roma».  Un’epistola,  scritta  probabilmente  dal  monaco  Filofej
        all’inizio del XVI secolo, afferma: «Due Rome sono cadute, la terza [Mosca] è in piedi e
        una quarta non vi sarà». La stessa immagine riappare nei documenti legati all’istituzione
        del patriarcato nel 1569. Sono testi in gran parte oscuri, ma che sembrano proclamare la

        Rus’  come  successore  delle  prime  due  incarnazioni  del  potere  imperiale  cristiano,  o  al
        limite come nuova protettrice della cristianità. Tuttavia, gli studiosi hanno messo in luce
        come l’epistola di Filofej non fosse una dichiarazione politica sul destino della Moscovia,
        ma piuttosto un polemico peana religioso al potere del sovrano che lo esortava anche a
        essere pio e a rispettare l’integrità della Chiesa in modo che la «terza Roma» non cadesse;
        si  trattava  probabilmente  di  una  reazione  alla  propaganda  cattolica  o  all’intromissione
        moscovita nelle prerogative della Chiesa a Novgorod. Di conseguenza, contrariamente a
        quanto  sostenuto  dalla  tradizione  storiografica,  all’epoca  la  dottrina  non  ebbe  grande
        risonanza  politica,  anche  se  è  probabile  che  contribuì  al  diffondersi  del  messianesimo
        popolare. A riprenderla in considerazione furono i circoli degli intellettuali nazionalisti nel
        XIX secolo.

           La gerarchia ecclesiastica aveva interesse ad avallare un’immagine del ruolo di Mosca
        nel mondo che giustificasse la posizione della Chiesa stessa e si accordasse con i suoi
        insegnamenti.  Dal  1448  in  poi  gli  scritti  ecclesiastici  –  le  cronache  e  gli  altri  testi  –
        cominciarono ad affermare con forza sempre maggiore l’opposizione tra il potere mongolo
        (musulmano) e quello della Rus’ (cristiano). Il clero cercò di creare e imporre la propria

        visione cristiana della Rus’ e del suo passato, nel quale il «giogo tataro» rappresentava un
        terribile periodo di oppressione da parte degli infedeli mandato da Dio come punizione per
        i peccati della Rus’. Dopo la caduta di Costantinopoli e dell’imperatore, sempre voluta da
        Dio, i principi moscoviti, da poco indipendenti, rimanevano i soli eredi della tradizione
        imperiale  ortodossa.  L’indipendenza  politica  e  il  potere  della  Moscovia  ricevevano  in
        questo  modo  l’approvazione  divina.  Gli  scritti  ecclesiastici  sottolineavano,  inoltre,  la
        continuità politica tra la Rus’ kieviana e la Moscovia. Nel 1492 il metropolita cominciò a
        usare,  in  riferimento  al  gran  principe,  il  termine  samoderžec  (sovrano  supremo
        indipendente, «autocrate», che corrisponde al greco autokrátēs). Alla fine del secolo nelle
        fonti  ecclesiastiche  si  diffusero  una  genealogia  immaginaria  che  legava  la  casata  dei
        rjurikidi con la famiglia di Cesare Augusto e una «Leggenda di Monomach» che narrava
        come l’imperatore bizantino Costantino Monomaco avesse inviato al gran principe di Kiev

        Vladimir  Monomach  le  insegne  del  potere  regale  fra  le  quali  la  «corona  imperiale  di
        Monomach», e suggeriva così se non una translatio imperii,  almeno  una  continuità  tra
        Costantinopoli, Kiev e la sua presunta erede Mosca. L’autore, anonimo, non si curava né
        delle  grossolane  contraddizioni  di  cronologia  e  genealogia,  né  della  provenienza
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