Page 228 - Storia della Russia
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L’Unione Sovietica come potenza mondiale:
la rinuncia all’utopia
1953-1991
La lotta per il potere che seguì la morte di Stalin fu vinta da Nikita Chruščëv, leader
indiscusso dal 1957. Lo smantellamento dell’apparato di terrore staliniano cominciò
immediatamente, quando nel 1956 Chruščëv diede il via ufficiale alla «destalinizzazione».
Il nuovo leader promosse la distensione a livello internazionale, presiedette ai primi trionfi
spaziali e missilistici russi e sostenne gli interessi di consumatori e agricoltori. Tuttavia, i
suoi errori e il suo imprevedibile stile di governo gli inimicarono i colleghi del Presidium,
che nel 1964 lo sostituirono con Leonid Brežnev. La nuova parola d’ordine fu «stabilità».
La vecchia classe dirigente rimase al potere fino alla morte di Brežnev nel 1982, e nel
1985 il governo passò nelle mani della nuova generazione, incarnata dalla figura di
Michail Gorbačëv. Con Brežnev l’Unione Sovietica divenne a tutti gli effetti una grande
potenza, consolidando la sua posizione in Europa e nel resto del mondo e rafforzando
l’ordine e la stabilità interna, nonostante le emergenti voci di dissenso negli anni che
seguirono il terrore. Ma la stagnazione economica, la crescente irrequietezza dell’«impero
esterno», il fallimento in Afghanistan e gli esorbitanti costi della Guerra fredda,
mostrarono tutta la fragilità della forza sovietica. Gorbačëv cercò di rimediare alla
situazione riformando le sclerotiche strutture del partito, ma l’allentamento del controllo,
la mobilitazione del sostegno popolare e la rinuncia a ricorrere alla repressione portarono
al collasso dell’«impero esterno» e dell’Unione stessa.