Page 220 - Storia della Russia
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Anna Achmatova suscitarono un’enorme reazione emotiva. Per riaffermare e risollevare il
        prestigio  dell’esercito  si  restaurarono  i  ranghi  e  le  insegne  zariste,  retrocedendo  i
        commissari politici. Stalin riuscì a trasformarsi nell’icona della resistenza. Nonostante la
        sua  autorità  assoluta  e  le  sue  indubbie  doti,  che  colpirono  gli  osservatori  occidentali,
        nell’arte militare egli, come Hitler, era solo un dilettante, e nel condurre la guerra compì
        molti errori. Ma, a differenza di Hitler, Stalin seppe imparare dai propri sbagli e lasciò
        campo  libero  ai  suoi  comandanti,  in  particolare  a  Žukov;  questi  uffiaciali,  come  scrive
        Frederick Kagan, uno dopo l’altro, «reinventarono di continuo» l’Armata rossa, ottenendo
        sempre  maggior  successo  e  rivelandosi  sempre  più  determinanti  con  l’evolversi  delle
        ostilità.  (Raggiunta  la  pace,  Stalin  si  attribuì  il  più  alto  titolo  militare,  quello  di

        «Generalissimo».)
           Accanto alle «carote» del fervore religioso e del nazionalismo, il governo applicò nei
        confronti  della  popolazione  il  «bastone»  dei  suoi  ben  collaudati  metodi  di  terrore,  in

        guerra  come  in  pace.  Il  gulag  contribuì  allo  sforzo  bellico  con  l’opera  di  minatori,
        taglialegna e manovalanza per ogni tipo di costruzioni; i prigionieri produssero il 15% di
        tutte le munizioni, uniformi, derrate alimentari e ogni altro genere di merce. Alle truppe
        della NKVD, in totale un quarto di milione, di rado sul campo in prima persona, fu dato
        l’ordine di far fucilare ai soldati delle prime file che retrocedevano o mostravano segni di
        «codardia», e nel 1941 chi si lasciava catturare dal nemico era considerato un traditore.
        Come in precedenza, l’apparato sradicò in modo deciso ogni forma di ribellione interna, e
        lo sforzo bellico non divenne prioritario rispetto alla repressione di chi si macchiava di
        reati d’opinione, reali o immaginari che fossero. Così, nel 1945, a causa di un’imprudente
        lettera dai toni aspri diretta a un amico, il capitano di artiglieria Aleksandr Solženicyn fu
        rimosso dal fronte e deportato (e più tardi si guadagnò il premio Nobel per la letteratura e
        un’importante carriera da oppositore del regime). Le truppe naziste e la NKVD compirono

        massacri  nei  territori  occupati;  al  mostruoso  trattamento  riservato  dai  tedeschi  ai  civili
        sovietici corrispose la vendetta delle armate di Mosca durante la loro avanzata all’interno
        della Germania nel 1945.
           La repressione si riversò su popolazioni intere, che Stalin arrivò a considerare vere e

        proprie nemiche. Nel corso delle ostilità, quasi 950.000 tedeschi sovietici sparsi per tutta
        l’Urss furono deportati a est, in Kazachstan o in Siberia. Quando le truppe riconquistarono
        il sud, i tatari della Crimea, i calmucchi e montanari del Caucaso (ceceni, inguši, karalčai,
        balcari,  mescheti)  condivisero  il  destino  dei  tedeschi  sovietici.  Fu  deportato  più  di  un
        milione e mezzo di ceceni e di questi ne morì almeno un quarto. I tatari della Crimea, i più
        compromessi con il nemico, subirono il trattamento più duro; per la loro attività contro i
        «traditori» le truppe della NKVD ricevettero 413 medaglie. Altre deportazioni, seguite da
        collettivizzazione, accompagnarono il ritorno del potere sovietico negli stati baltici. L’odio
        generato  da  queste  azioni  e  le  politiche  sovietiche  di  insediamento  che  ne  seguirono
        sarebbero  divenuti  negli  ultimi  anni  dell’Urss  un  potente  fattore  di  disgregazione.  Una
        simile brutalità fu riservata anche ai soldati sovietici catturati durante gli accerchiamenti e,
        dopo  il  1945,  ai  prigionieri  di  guerra  rimpatriati.  Molti  prigionieri  e  profughi  furono

        rimandati  in  Unione  Sovietica  contro  la  loro  volontà,  anche  quando  non  era  prescritto
        dalla legge. Nel 1953 quasi 5,5 milioni di persone erano state rimpatriate; alcune furono
        fucilate, molte finirono in campi di concentramento o ai lavori forzati, il resto rimase sotto
        stretta sorveglianza. Un caso celebre fu rappresentato dai 50.000 cosacchi al servizio dei
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