Page 213 - Storia della Russia
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del XIX secolo furono additati come gli unici modelli; Prokof’ev e Šostakovič vennero
accusati di «formalismo»; l’Ottava Sinfonia, a opera di quest’ultimo, fu proibita per oltre
dieci anni.
Il cinema era estremamente popolare nella Russia prerivoluzionaria; i bolscevichi lo
considerarono la forma d’arte ideale per la propaganda e l’educazione di massa. Nel 1919
i cinema russi furono nazionalizzati, un anno dopo i teatri, e nacque la prima scuola statale
cinematografica del mondo, seguita nel 1922 da un organo di produzione statale, il
Goskino, divenuto Sovkino nel 1924. Questo organo presiedette all’«età d’oro» del cinema
muto sovietico e all’opera di Sergej Ejzenštejn, Vsevolod Pudovkin e altri. Il famosa La
corazzata Potëmkin fu girato nel 1926, ma ebbe più successo all’estero che tra le autorità e
le masse sovietiche: negli anni Venti erano più popolari le pellicole americane e tedesche,
di gran lunga meno complicate. Come in altri settori, nel 1928 il controllo si fece più
stretto e poco dopo, in contemporanea all’arrivo del sonoro, giunse il realismo socialista.
Con l’avvicinarsi della guerra, una serie di epici film di argomento storico e militare
portarono sullo schermo (come detto in precedenza) grandi figure eroiche: dopo Pietro I
vennero Aleksandr Nevskij (1938), Suvorov (1941), Bogdan Chmel’nickij (1941), Kutuzov
(1944) e Ivan il Terribile. Come negli altri campi, anche nel cinema si fece sentire la
repressione del dopoguerra: la seconda parte di Ivan il Terribile di Ejzenštejn ne cadde
vittima. I produttori ebrei furono estromessi dall’industria cinematografica.
Nelle arti visive la rivoluzione fu sostenuta con entusiasmo da molti esponenti delle
avanguardie. Nacquero diverse nuove associazioni. Il Dipartimento per le arti visive (IZO,
1918) del Narkompros patrocinò questa tendenza, ingaggiando artisti e costruttori
d’avanguardia nel nuovo e sperimentale Istituto di cultura artistica e, in qualità di
insegnanti, nei Laboratori statali superiori di arte e tecnica (VChuTeMas, 1920). Gli iniziali
progetti modernisti, per la maggior parte, rimasero sulla carta: il famoso progetto del 1919
di Vladimir Tatlin per un monumento alla Terza Internazionale, commissionato dal
Sovnarkom, rappresentava le nuove aspirazioni industriali del costruttivismo. La
ricostruzione degli anni della NEP offrì ampie opportunità, rendendo possibile l’architettura
privata; architetti come Konstantin Mel’nikov, Pantelejmon e Il’ja Golosov, e i fratelli
Vesnin, costruttivisti, eressero nuovi straordinari edifici. L’arte dei manifesti, che aveva
avuto un importante ruolo di propaganda durante la guerra civile, si sviluppò ulteriormente
negli anni Venti. Come in altri campi artistici, i pittori impegnati politicamente (vale a dire
l’Associazione degli artisti della Russia rivoluzionaria, AChRR, 1922) proposero un
programma di sinistra, senza tuttavia porre un freno alle diversità artistiche; la Società dei
pittori da cavalletto (OST) dipingeva scene di vita contemporanea sovietica per il nascente
mercato artistico della NEP. Il realismo socialista coinvolse anche l’architettura e le arti.
Una nuova Accademia panrussa delle arti fu istituita sotto la guida di Isaak Brodskij, capo
dell’AChRR, e promosse una pittura sempre più rigorosamente figurativa. Gli ambulanti
tornarono di moda, e ciò che rimaneva dell’avanguardia sopravvisse in forma non ufficiale
in circoli privati. Brodskij e il suo successore, Aleksandr Gerasimov, si specializzarono nei
ritratti dei leader sovietici. Negli anni Trenta anche l’architettura finì sotto stretto controllo
dello stato. I vasti progetti di costruzione previsti dal primo piano quinquennale
produssero vivaci dibattiti intorno alle questioni architettoniche e alla pianificazione
urbana, ma quest’ultima, nonostante soluzioni pionieristiche e onnicomprensive come il
piano urbanistico di Mosca del 1935, non riuscì a risolvere la pressante richiesta di alloggi