Page 211 - Storia della Russia
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Le arti

        Gli anni immediatamente successivi alla rivoluzione furono per l’arte un’epoca di grande
        fermento  e  produttività.  Il  nuovo  stato  nazionalizzò  immediatamente  tutte  le  istituzioni
        artistiche, considerando la cultura come un importante strumento in rapporto con le masse.
        Negli anni Venti il partito scelse una linea pluralista, permettendo una relativa libertà di
        espressione alle idee individuali e di gruppo, e bloccando qualsiasi tentativo di imporre
        una supremazia teorica o politica non controllata dal partito. Ciò valse per tutte le forme

        artistiche: letteratura, musica, balletto, cinema, pittura. Nella prima metà del secolo il loro
        sviluppo  seguì  un  percorso  comune.  In  letteratura  diversi  gruppi  portarono  avanti  il
        radicalismo  dell’avanguardia  prerivoluzionaria,  proponendo  una  rivoluzione  formale.
        Primo  fra  tutti  ricordiamo  il  Proletkul’t,  un’organizzazione  di  sinistra  che  si  trasformò
        nella combattiva  RAPP  (Associazione  russa  degli  scrittori  proletari);  era  vicino  alle  loro
        posizioni Michail Šolochov, celebre autore dell’epos cosacco Il placido Don. Vi erano poi
        i  futuristi,  guidati  dall’esuberante  letterato  rivoluzionario  Vladimir  Majakovskij,  che  si
        trasformarono in  LEF (Fronte di sinistra delle arti), e gli immaginisti, raccolti intorno al
        «poeta  contadino»  Sergej  Esenin.  Un  altro  tipo  di  radicalismo  ispirò  i  critici  formalisti
        dell’Opojaz (Società per lo studio del linguaggio poetico), che studiavano e interpretavano
        la letteratura come un esercizio stilistico; e non va dimenticato il geniale teorico e critico
        Michail Bachtin. Accanto a questi movimenti, una vasta gamma di autori dalle ispirazioni
        più diverse, più o meno in sintonia con il regime, produssero negli anni Venti opere di
        teatro, prosa e poesia di grande valore, soprattutto sui temi della rivoluzione e della guerra
        civile. Tra questi figurano: Michail Bulgakov, il cui capolavoro, Il maestro e Margherita
        (1928-1940),  scritto  più  tardi,  non  fu  pubblicato  fino  al  1966;  l’umorista  Michail

        Zoščenko;  i  romanzieri  Aleksandr  Fadeev,  Konstantin  Fedin,  Leonid  Leonov  e  Boris
        Pil’njak;  lo  scrittore  satirico  Evgenij  Zamjatin,  che  ebbe  problemi  a  causa  della
        pubblicazione all’estero del romanzo Noi (1927), la sua distopia orwelliana, e fu costretto
        a emigrare nel 1931; e Andrej Platonov, forse il maggiore prosatore del periodo. Maksim
        Gor’kij,  il  cui  rapporto  con  i  bolscevichi  ebbe  fasi  alterne,  visse  all’estero  dal  1922  al
        1928, per poi diventare un’icona letteraria fino alla morte (sospetta) nel 1936. La comunità
        ebraica di Odessa produsse un gran numero di opere straordinarie: i commoventi racconti
        di Isaak Babel’, splendidi dal punto di vista formale e frutto delle sue esperienze durante
        la guerra civile (L’armata a cavallo, 1926) e nella comunità ebraica di Odessa (I racconti
        di  Odessa,  1931);  gli  esilaranti  romanzi  di  grande  successo,  pubblicati  sotto  gli
        pseudonimi  di  Il’f  e  Petrov,  Dodici  sedie  (1928)  e  Il  vello  d’oro  (1929-1933),  che
        mettevano  alla  berlina  la  NEP.  In  poesia  la  vecchia  tradizione  fu  rappresentata  al  suo
        meglio da quattro poeti affermati e di grandissimo talento: Boris Pasternak, che si impose

        con  la  raccolta  Mia  sorella  la  vita  (1917),  gli  ex  acmeisti  Osip  Mandel’štam  e  Anna
        Achmatova, e infine Marina Cvetaeva, che dal 1922 visse all’estero. Nessuno di loro si
        adattò facilmente al modello sovietico. Negli anni Venti Anna Achmatova non poté più
        pubblicare, mentre negli anni Trenta, quando il figlio fu coinvolto nelle purghe, diede voce
        alle  sofferenze  popolari  nel  suo  potente  Requiem  (1935-1940/1961,  pubblicato  solo  in
        seguito). Negli anni Trenta, Pasternak si dedicò alla traduzione; Marina Cvetaeva, che nel
        1939 aveva commesso l’errore di ritornare in patria, si suicidò nel 1941.

           Gli anni Venti, un periodo relativamente liberale, ebbero fine nel 1928, con il primo
        piano quinquennale. La RAPP cominciò a dettare legge in campo letterario, ma nel 1932 un
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