Page 198 - Storia della Russia
P. 198
I piani quinquennali
Il primo piano quinquennale (pjatiletka) prese il via nell’ottobre del 1928, sebbene
confermato ufficialmente solo nel 1929. Furono imposti obiettivi di produzione molto
ottimistici, che si decise di raggiungere addirittura in quattro anni. Dopo aver messo da
parte obiezioni e ragionevoli dubbi, si diede libero sfogo all’entusiasmo rivoluzionario:
«Non esistono fortezze che i bolscevichi non possano conquistare». Questo era lo spirito
di Aleksej Stachanov, un minatore, ex contadino del Donbass, che nel 1935, in un solo
turno prolungato, estrasse 102 tonnellate di carbone, creando la figura mitica del
«lavoratore d’assalto», lo «stachanovista». Si fece un enorme investimento di denaro,
finanziato da cospicui prestiti interni ed esteri e dall’innalzamento delle tasse. Per pagare
le importazioni necessarie, si esportò il grano che doveva servire a sfamare la popolazione.
Nacquero vasti progetti industriali, che assorbirono i disoccupati della NEP e un’immensa
quantità di immigrati dalle campagne, irreggimentati nella nuova, pesantissima disciplina
del lavoro. Per alloggiarli furono previsti programmi di urbanizzazione altrettanto vasti.
Sorsero fabbriche metallurgiche e dighe idroelettriche, fu costruita l’imponente
metropolitana di Mosca e si incrementò la produzione di trattori a sostegno
dell’agricoltura collettivizzata. Si aprì la via allo sfruttamento di nuovi territori. Il canale
tra il Mar Bianco e il mar Baltico, il Belomorkanal, celebrato dalla propaganda sovietica
come il frutto dell’eroica creatività sovietica e del potere redentore del lavoro, fu in realtà
l’opera di squadre di forzati niente affatto redenti e risultò troppo stretto per un pieno
utilizzo funzionale; la città di Magnitogorsk negli Urali, costruita in una desolata regione
intorno a una «montagna magnetica» con enormi giacimenti minerari, sorse grazie
all’ingegno e agli sforzi di tecnici idealisti, komsoml’cy e giovani socialisti, che
lavorarono in condizioni primitive (anche qui furono impiegati in buona parte i prigionieri
del gulag). In generale le condizioni di lavoro erano infernali. Ma tutto questo andava
visto sullo sfondo della Depressione capitalistica e dei miseri e affamati anni Trenta vissuti
dai paesi occidentali (il governo sovietico e il Komintern appoggiarono i movimenti
operai all’estero, tanto temuti dai governi degli stati capitalisti). C’erano sprechi,
inefficienze, sacrifici e squilibri, gli standard produttivi e qualitativi erano bassi e tutto
veniva finalizzato al raggiungimento degli obiettivi, ma nonostante la confusione e
l’assurdo ed esagerato ottimismo, la prima pjatiletka ottenne risultati impressionanti. La
produzione di carbone nel 1927-1928 fu di 35,4 milioni di tonnellate. La seconda versione
del piano, cosiddetta «ottimale», ne prevedeva 75 milioni entro il 1932-1933, cifra che poi
fu ulteriormente «corretta» in 95-105 milioni. Nel 1932 la quantità raggiunta si aggirava
intorno ai 64,3 milioni di tonnellate, un incremento della produzione dell’82% in quattro
anni; in tutti i rami dell’industria pesante si ebbe una crescita a volte anche maggiore,
mentre i beni di consumo aumentarono in maniera meno esagerata. I problemi creati da
questo frenetico impegno industriale imposero obiettivi più realistici al secondo piano
quinquennale (1933-1937) che, grazie alle conoscenze ed esperienze acquisite, proseguì lo
slancio insieme al terzo (1937-1941), interrotto solo dallo scoppio della guerra. Intanto le
necessità militari cominciavano a farsi sempre più pressanti, ma il loro sviluppo fu
gravemente compromesso dagli sconvolgimenti economico-sociali e dal primato dei
fattori politici su quelli militari.
Gli anni della collettivizzazione e dei piani quinquennali rappresentarono in Russia il
rinnovamento della rivoluzione, spesso chiamata «rivoluzione staliniana» o «rivoluzione