Page 193 - Storia della Russia
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I problemi politici degli anni Venti

        Il  declino  di  Lenin  inasprì  la  lotta  di  potere  all’interno  della  dirigenza  comunista,  che
        sarebbe continuata per tutti gli anni Venti, soprattutto in termini di alleanze personali e per
        compiere  scelte  politiche.  Durante  la  guerra  civile  Stalin  era  stato  incaricato  del  fronte
        meridionale,  presso  Caricyn  (poi  ribattezzata  Stalingrado,  ora  Volgograd),  dove  era
        riuscito  a  imporre  con  fermezza  la  sua  autorità,  ricorrendo  anche  a  metodi  brutali,  ma
        scontrandosi  con  la  direzione  generale  delle  operazioni,  affidata  a  Trockij.  La  rivalità,

        personale e politica, tra Trockij e Stalin sarebbe stata di enorme importanza negli anni
        successivi. Grazie alla sua carica di capo dell’Orgbjuro, un ruolo amministrativo di basso
        profilo  in  cui  dimostrò  grande  abilità,  Stalin  ebbe  in  mano  il  controllo  delle  nomine,
        tramite le quali si costruì un consenso personale tra i membri del soviet e del partito e
        incrementò il suo potere in modo costante. Il partito comunista uscito dalla guerra civile
        era molto diverso dal movimento di massa del 1917: temprato dalla battaglia, possedeva
        ora  nuovi  membri,  consacrati  al  cambiamento  rivoluzionario  e  abituati  a  obbedire  alla
        dirigenza.  La  messa  al  bando  nel  1921  di  ogni  tipo  di  «fazione»,  come  i  Centralisti
        democratici, che cercavano di far convivere una forte centralizzazione con una maggiore
        democrazia all’interno del partito, e l’Opposizione operaia, che chiedeva una più attiva
        partecipazione dei lavoratori, tornò utile a Stalin. Nell’aprile del 1922 il Comitato centrale
        lo elesse segretario generale, a capo della segreteria del partito. Solo quando ormai era
        tardi,  troppo  tardi,  Lenin  si  accorse  della  crescente  burocratizzazione  del  partito,  della
        «crudezza»  e  del  trattamento  che  Stalin  riservava  a  chi  si  metteva  sulla  sua  strada
        (compresa  la  moglie  di  Lenin,  Nadežda  Krupskaja),  nonché  delle  dimensioni  del  suo
        potere. Durante la malattia, Lenin redasse un «testamento» in cui metteva in guardia sulle

        condizioni del partito e consigliava di destituire Stalin dalla carica di segretario generale.
        Ma quando il Politbjuro si riunì per esaminare il documento, Stalin riconobbe i suoi errori
        e  Trockij,  per  paura  di  apparire  il  Napoleone  della  situazione  (continui  erano  tra  i
        bolscevichi  i  paragoni  con  la  Rivoluzione  francese),  non  calcò  la  mano.  L’unità  fu
        mantenuta, il testamento eliminato, e Stalin conservò la carica di segretario generale. In un
        primo periodo a Lenin successe una trojka composta da Stalin, Lev Kamenev e Grigorij
        Zinov’ev  (pseudonimo  di  Radomysl’skij),  che  avevano  le  loro  basi  di  potere
        rispettivamente nelle organizzazioni del partito a Leningrado e a Mosca.

           Nei  cinque  anni  seguenti  si  affrontarono  in  modo  conflittuale  problemi  di  indirizzo
        politico e di leadership. La rivoluzione socialista era avvenuta nel paese con la maggiore
        base  contadina,  la  meno  sviluppata  tra  le  potenze  capitaliste,  eppure  la  rivoluzione
        mondiale  non  era  scoppiata.  Che  fare?  Ne  nacque  un  grande  dibattito  tra  politici  ed
        esperti,  che  produssero  teorie  d’avanguardia  –  l’esperimento  sovietico  era,  dopo  tutto,
        unico  nel  suo  genere.  Naturalmente  tutti  i  capi  sovietici  desideravano  costruire  il
        socialismo. Trockij, a «sinistra», era ancora convinto che la rivoluzione mondiale fosse
        fondamentale; ogni sforzo doveva essere rivolto in quella direzione, applicando politiche

        radicali in patria e all’estero. Questa posizione era ampiamente condivisa da Zinov’ev e
        Kamenev.  L’ex  comunista  di  sinistra  Bucharin,  direttore  del  giornale  del  partito,  la
        «Pravda», ora rappresentante della «destra», riteneva che, in mancanza di una rivoluzione
        mondiale,  il  socialismo  andasse  costruito  per  gradi,  lasciando  che  si  consolidasse
        all’interno del paese con l’allargamento della NEP e la pacificazione della classe contadina.
        I suoi avversari lo derisero, accusandolo di voler «arrivare al socialismo cavalcando un
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