Page 192 - Storia della Russia
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Morte e vita postuma di Lenin
La soluzione di questi problemi fu complicata dalla malattia e dalla morte di Lenin. Nel
marzo del 1923, dopo tre attacchi cerebrali, egli rimase definitivamente paralizzato; morì
il 21 gennaio 1924, all’età di cinquantatré anni.
Dopo la morte, Lenin divenne subito oggetto di una venerazione che presto si trasformò
in culto (quell’adulazione che in vita aveva sempre rifiutato). Il suo corpo fu imbalsamato
e chiuso nell’ormai celebre mausoleo eretto sulla Piazza Rossa di Mosca. Il partito voleva
trarre il massimo profitto dall’indubbio carisma che Lenin esercitava su gran parte della
gente comune: egli aveva ricevuto regolarmente postulanti al Cremlino, anche chi non era
soddisfatto del regime lo considerava uno «zar buono» circondato da perfidi ministri, e per
gli xenofobi antisemiti Lenin era un russo tra commissari ebrei. Fu considerato il nume
tutelare dell’Unione Sovietica e i suoi scritti divennero la fonte della dottrina marxista-
leninista, il nuovo sistema ufficiale di valori sovietici che sostituì il Cristianesimo
ortodosso. Il marxismo-leninismo e il culto di Lenin svolsero le funzioni sociali, politiche
e psicologiche di una religione, soprattutto verso la fine degli anni Venti, che si stavano
incamminando verso lo stalinismo. Pietrogrado fu ribattezzata Leningrado. Statue di Lenin
furono erette in tutto il paese. Il mausoleo e la tenuta di Gorki Leninskie, dove Lenin
passò i suoi ultimi giorni, divennero santuari. Citare le sacre scritture di Lenin fu presto
obbligatorio in tutte le sfere dell’attività pubblica, e la sua immagine ufficiale assunse
tratti di santità, sul modello di Cristo: infallibilità, intelligenza, gentilezza, frugalità, amore
per i bambini. «Lenin è sempre con noi» fu detto ai cittadini sovietici. Tutto ciò che poteva
macchiarne l’icona – l’occasionale ferocia e il disprezzo per la vita umana in questioni
politiche, le relazioni extraconiugali, la parziale discendenza ebraica – era tabù. Ma,
sebbene il suo contributo alla Storia sia ancora oggetto di controversie, in quanto
principale fondatore dell’Unione Sovietica, Lenin fu di sicuro una delle figure centrali del
suo tempo. A renderlo un leader eccezionale furono l’assoluta, ossessiva dedizione alla
causa, la grande intelligenza, una straordinaria capacità di cogliere le complesse
dinamiche degli eventi. Lenin dimostrò, inoltre, di possedere brillanti attitudini politiche e
amministrative: aveva energia, resistenza, abilità retorica e fascino personale. Restava,
però, fondamentalmente, un dotto utopista che, seppur flessibile e realista nelle questioni
pratiche, edificava il proprio universo in termini teorici; un settario con una fanatica e
incrollabile fede nella propria giustizia e giustezza, che lo portò a costruirsi una morale
perversa e ottusa, a staccarsi da tutti gli avversari, a ignorare l’umanità degli altri e la
varietà dei fenomeni sociali. Il suo atteggiamento nei confronti della politica, nonché della
violenza e del terrore, fu condizionato dall’ambiente in cui crebbe e dall’impegno del
fratello, e, benché estremo, non era poi così raro a quei tempi; e le conseguenze a lungo
termine del suo modo di pensare non furono subito chiare. Lenin presiedette alla creazione
di una cultura e di strutture politiche che resero possibili il futuro sviluppo dell’Urss e il
suo definitivo crollo.