Page 187 - Storia della Russia
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Chiesa». In un momento così difficile, Lenin non volle inimicarsi le masse attaccando i
«pregiudizi» religiosi e, nonostante le pressioni dell’estrema sinistra, evitò azioni dirette
contro i credenti o contro Tichon. Prese solo alcune misure, come l’apertura delle tombe
dei santi per ridimensionarne il culto, e certo non fu turbato dagli incontrollati episodi di
violenza: secondo le statistiche della Chiesa, tra il 1918 e il 1920 furono uccisi 28 vescovi,
migliaia di preti e circa 12.000 semplici credenti. Meno severo fu l’atteggiamento verso le
confessioni e le fedi non ortodosse che avevano subito in precedenza persecuzioni e
discriminazioni. Stalin, come commissario per le Nazionalità, scrisse un appello agli
«operai musulmani di Russia e d’Oriente»; tuttavia, il decreto di separazione si applicava
anche a loro. Nel 1920 nacquero nuove strutture antireligiose, in particolare il
Dipartimento per l’agitazione e la propaganda. Nel 1922 le autorità alimentarono una
violenta campagna antireligiosa. Tichon fu arrestato e, con l’appoggio del governo, il clero
più radicale organizzò all’interno della Chiesa un movimento filocomunista, la «Chiesa
vivente» (anche detto dei «rinnovazionisti»), che sopravvisse fino agli anni Quaranta.
Tichon fu rilasciato nel 1923 dopo dichiarazioni di fedeltà e autocritica. Nel 1925 fu creata
una Lega degli atei (in seguito Lega degli atei militanti) per la propaganda dell’ateismo.
Tichon morì quello stesso anno, il governo proibì l’elezione di un nuovo patriarca; nel
1927 il metropolita Sergij, dichiarata la sua fedeltà al regime, fu riconosciuto come locum
tenens, posizione che mantenne fino al 1943, quando in piena guerra fu elevato alla carica
di patriarca.
Per motivi ideologici, e nella speranza di incrementare il rifornimento di cibo, anche i
contadini furono vittime di violenza e terrore. Pur cercando di proteggere i non meglio
definiti «contadini medi», già nel febbraio del 1918, Lenin parlava di «guerra spietata ai
kulaki». Fu instaurata una dittatura alimentare con l’imposizione della prodrazvërstka, un
sistema di confisca del grano risultato in surplus (e anche questo concetto rimase fluido)
nelle quote regionali: operai e unità della Čeka piombavano nei villaggi, prendevano il
grano a prezzi irrisori con la violenza; furono istituiti Comitati di contadini poveri
(kombedy) per raccogliere informazioni sui membri dello stesso villaggio e individuare i
campi di grano: una dittatura rurale dei contadini proletari. Con il loro aiuto il sistema
delle requisizioni ebbe grande successo: nel 1917-1919 i rifornimenti si quadruplicarono.
Era, però, un metodo basato solo su congetture, ingiusto e sproporzionato, che lasciò senza
scorte e senza cibo molti contadini. Nel 1921-1922 un’enorme carestia nella regione del
Volga e nel sudest uccise circa cinque milioni di persone, provocando l’intervento
umanitario internazionale. Malgrado questi sforzi, il cibo requisito non bastava a sfamare
le città: metà dei rifornimenti proveniva da contrabbandieri che operavano sul mercato
nero dove, nonostante le contromisure prese dalla Čeka, si barattavano le merci cittadine
con il grano. Nello stesso anno la corruzione dilagante costrinse il governo a sopprimere i
kombedy.
Il caos economico crebbe. La guerra civile mandò al collasso la produzione e i trasporti,
escludendo la Russia centrale dalle sue tradizionali fonti di approvvigionamento. Ne
conseguì la crisi della grande industria e un vertiginoso innalzarsi dell’inflazione: il
denaro aveva sempre meno valore. Alcuni cosiddetti comunisti di sinistra, come Nikolaj
Bucharin, accolsero il crollo del mercato come un ulteriore passo verso il vero socialismo,
in cui tutte le risorse sarebbero state assegnate dallo stato in un’economia senza denaro. Le
esigenze belliche rafforzarono questa tendenza, rendendo necessario un controllo statale