Page 189 - Storia della Russia
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La guerra civile tra rossi e verdi: la rivolta contadina

        Da principio le reazioni contadine alla nuova situazione furono caute, ma s’inasprirono
        con  il  declino  della  minaccia  bianca.  Una  congiuntura  negativa  nei  traffici  tra  città  e
        campagna aveva accentuato il già insopportabile fardello delle tasse e delle requisizioni; la
        crescente centralizzazione politica aveva distrutto il potere dei partiti d’opposizione e dei
        contadini  all’interno  dei  soviet,  aprendo  la  via  all’intollerabile  dittatura  dei  quadri
        bolscevichi  locali.  Nel  1919-1921  il  Sovnarkom  dovette  affrontare  il  dilagare  di  una

        resistenza  armata  in  tutta  la  campagna.  L’azione  contadina  andava  dalle  sommosse  nei
        villaggi  a  episodi  di  semplice  banditismo  fino  a  sofisticate  operazioni  militari  in  piena
        regola, aiutate da ex soldati o disertori; alcune unità dell’Armata rossa si ammutinarono
        schierandosi dalla parte dei contadini e i comandanti verdi organizzarono ampie campagne
        di  guerriglia.  I  villaggi  in  rivolta  cacciavano  i  funzionari  locali,  formavano  un  proprio
        soviet e una propria milizia, e diffondevano l’insurrezione nei villaggi vicini. La «guerra
        dei  caftani»  del  marzo-aprile  1919,  uno  dei  grandi  e  numerosi  tumulti  lungo  il  Volga,
        radunò  un  esercito  mal  equipaggiato,  ma  con  un’ottima  organizzazione,  costituito  da
        20.000 coscritti, e coinvolse nel complesso 150.000 persone. Il suo obiettivo era formare
        soviet  senza  comunisti  e  ritornare  al  primo  periodo  del  potere  dei  soviet,  quando  i
        contadini erano stati lasciati a se stessi; gli insorti respinsero le prime truppe rosse inviate
        per sedare la rivolta e furono sconfitti solo da un’imponente mobilitazione dei bolscevichi
        locali. Alcuni fra i comandanti contadini di maggior successo erano ex ufficiali sovietici o
        ex ufficiali dell’Armata rossa. Nestor Machno, leggendario anarchico verde e capo della

        guerriglia ucraina, nel 1919 aveva comandato una divisione rossa contro i bianchi. L’SR
        Aleksandr Antonov, alla testa della grande rivolta di Tambov, la antonovščina, era stato

        capo  della  polizia  sovietica  nel  1917-1918.  A.  Sapožkov,  un  comandante  rosso  con  un
        ottimo curriculum, compresa la repressione di molte «insurrezioni di kulaki», sostenne la
        resistenza  dei  contadini  del  Volga  contro  le  requisizioni,  spingendo  un’intera  divisione
        dell’esercito  a  un  ammutinamento  anticomunista,  che  fu  sedato  solo  dopo  due  mesi.
        Questi moti rientravano nella tradizione di Razin e di Pugačëv: rivolte locali delle vaste
        zone delle steppe, che riflettevano i valori e la mentalità dei contadini, e mancavano, se
        non delle capacità, sicuramente delle risorse per resistere nel lungo periodo al contrattacco
        dello stato. Furono tumulti causati dall’assalto terroristico dei bolscevichi alle relazioni
        fondamentali  della  società  russa  e  dalle  contraddizioni  di  fondo  tra  nuovi  governanti  e
        governati all’interno dello «stato contadino». Essi furono per il nuovo regime una potente
        minaccia che Lenin riconobbe come «molto più pericolosa di tutti i Denikin, gli Judenič e
        i Kolčak messi insieme, perché questo è un paese in cui il proletariato rappresenta una
        minoranza». Nel marzo del 1921, come scrive Orlando Figes, «il governo bolscevico si

        arrese  ai  suoi  stessi  contadini»,  almeno  in  termini  economici:  mentre  schierava  un
        possente esercito contro la resistenza nelle campagne, Lenin faceva approvare la Nuova
        Politica Economica.
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