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                                             Modulo 6
                                             L’impero tardoantico


                                             no spinti fino alla penisola iberica e al Marocco. Come tutti gli imperatori del suo tempo,
                                             Gallieno era ossessionato dalla preoccupazione per la stabilità del potere imperiale. Per
                 GUIDAALLOSTUDIO             porre fine alle continue ribellioni dei generali di estrazione senatoria, che tentavano l’u-
                 1. Come affrontò Massimino il Trace
                 la diffusione del cristianesimo?  surpazione al comando delle loro truppe, Gallieno tolse ai senatori il comando delle le-
                 2. Chi si oppose a Massimino il  gioni. Fu un atto di enorme rilevanza, che poneva le basi di quella distinzione tra potere
                 Trace? Perché?
                 3. Chi erano i federati?    civile e funzioni militari che avrebbe caratterizzato l’ultima fase della storia romana. Ma
                 4. Quali erano le intenzioni dei Goti e  sul momento esso non servì a consolidare il potere di Gallieno: come tanti suoi prede-
                 dei Persiani nei confronti dell’impero?
                                             cessori, anche questo imperatore cadde per una congiura dei suoi generali.



                                             6. La controffensiva degli imperatori illirici

                                              Difensori dello Stato Questi disastri sembravano il preludio della fine. Ma non fu co-
                                             sì. Negli ultimi decenni del secolo, l’impero trovò energie sufficienti per arginare gli in-
                                             vasori e avviare la ripresa. Il merito di questa svolta fu di alcuni imperatori soldati, che gli
                                             storici chiamano imperatori illirici per la loro origine dalla penisola balcanica, la parte
                                             dell’impero più esposta alle invasioni e ai saccheggi.

                                              Una strenua resistenza Il regno di Claudio II fu breve (268-270) ma molto importan-
                                             te. Dopo aver facilmente respinto un’incursione alamannica in Italia settentrionale, l’im-
                                             peratore si trovò a dover fronteggiare una nuova invasione gotica, la più terribile di quel-
                                             le che l’impero dovette subire nel III secolo. Dopo decenni di incursioni e di battaglie, i
                                             Goti decisero di insediarsi stabilmente nella penisola balcanica, spopolata dalle guerre e
                                             dalla peste. La loro invasione si svolse in due ondate: una parte oltrepassò il Danubio in
                                             più punti e penetrò nelle province romane; un’altra attraversò il Bosforo su imbarcazio-
                                             ni e dilagò nel Mediterraneo orientale. Anche se gli eserciti germanici non potevano van-
                                             tare il livello tecnico di quelli romani, il carattere massiccio e dirompente di queste inva-
                                             sioni rappresentava una minaccia della massima gravità. Con un’abilità e un’intelligenza
                                             strategica degna di un grande condottiero, Claudio II piombò sui Goti della seconda on-
                                             data e li massacrò; mosse quindi contro gli altri e li accerchiò. I Goti che sfuggirono al
                                             massacro furono insediati come contadini nelle zone incolte delle province danubiane. In
                                             questo modo l’imperatore, che si meritò il titolo di «Gotico Massimo», risolse il proble-
                                             ma gotico: per un secolo i Goti non avrebbero più rappresentato un pericolo per lo Sta-
                                             to romano.
                                              Riunificazione dell’impero L’imperatore non riuscì a godere il frutto delle sue vitto-
                                             rie, perché morì di peste quasi subito. Il suo successore Aureliano (270-275) dovette fron-
                                             teggiare l’assalto degli Alamanni e degli Iutungi, che erano penetrati in Italia spingendo-
                                             si con le loro razzie fin oltre Rimini. Aureliano li annientò facilmente e si dedicò alla riu-
                                             nificazione dell’impero, che era rimasto diviso in tre parti. Con un’energia indomabile, il
                                             sovrano condusse una serie di campagne militari – celebre l’assedio della città siriaca di
                                             Palmira, che sotto la regina Zenobia, nel 267, si era costituita in regno autonomo – che in
                                             pochi anni assicurarono la ricomposizione del mondo romano. Egli pensò quindi alla di-
                                             fesa di Roma, e per difendere la capitale dai barbari fece costruire una poderosa cinta
                                             muraria (le cosiddette «Mura aureliane»): quasi ventimila metri di circonferenza, oltre
                                             sette metri di altezza e quattro di larghezza, seicento torri, diciotto porte. Un gigantesco
                                             monumento che ancora oggi ricorda quegli anni drammatici in cui Roma lottò per la so-
                                             pravvivenza.
                                             Il sovrano organizzò quindi una grande spedizione contro i Persiani, ma fu stroncato da
                                             una congiura ordita da alcuni suoi ufficiali. Evidentemente in questo periodo non basta-

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