Page 239 - Storia dell'inquisizione spagnola
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la metà dei tredici bestemmiatori condannati a Siviglia fra il

               1606  e  il  1612  abiurino  de levi,  il  che  accadeva  raramente
               prima  del  1560,  indicherebbe  che  gli  inquisitori  prendono
               questo delitto molto più sul serio . Bisogna infine tener conto
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               che  solo  le  cause  più  gravi  arrivavano  ormai  al  tribunale.
               Tuttavia,  non  drammatizziamo:  le  sentenze  così  severe
               restano rare.
                  E,  comunque,  c’è  una  sproporzione  fra  le  penitenze  che

               impone  il  Santo  Uffizio  e  la  gravità  teologica  della
               bestemmia,  che  è  una  ingiuria  alla  divinità.  Ascoltiamo  fra
               Luís de Granada nella sua Guía de Pecadores: «Fra i peccati
               mortali,  il  più  grave  è  la  bestemmia,  assai  vicino  ai  tre
               peccati  più  gravi  del  mondo  che  sono  l’infedeltà,  la
               disperazione  e  l’odio  verso  Dio,  in  assoluto  il  più  grave  di

               tutti». San Tommaso d’Aquino va ancora oltre, perché ne fa
               un’infedeltà  aggravata  dal  consenso  della  volontà  e
               dall’espressione verbale.
                  C’è una sproporzione anche con le pene feroci che prevede
               la  legislazione  civile:  taglio  della  lingua,  frusta  e  bando
               (1462, confermato nel 1492); prigione e frusta per aver detto
               «non  credo  in  Dio»,  con  foratura  della  lingua  alla  prima

               ricaduta (1502), galera in più a partire dal 1566. Un mese di
               carcere alla prima inezia se si è fortunati.
                  Gli  inquisitori,  a  quanto  pare,  hanno  compreso  la  vera
               natura della  bestemmia  che,  salvo  rarissime  eccezioni,  non
               rimette realmente in causa la fede. Essi sanno che è rituale,
               stereotipata,  fondata  su  una  mezza  dozzina  di  formule-tipo

               che,  tutt’al  più,  permettono  qualche  gioco  di  parole.  Il
               campionario di base varia a seconda delle regioni. In tutta la
               Castiglia  sembra  vertere,  in  ordine  di  gravità  crescente,
               intorno a «Giuro a Dio», estremo limite del linguaggio lecito;
               «per la vita di Dio», i paragoni fra gli uomini e Dio («ciò che
               dico è vero quanto la parola di Dio»); il rifiuto di ubbidienza
               («anche se me lo ordina Dio non lo farò»); la negazione della

               potenza  divina  («Dio  non  può  far  questo»);  «non  credo  in
               Dio»  (con  un  senso  diverso  da  quello  che  daremmo  oggi  a
               questa  espressione);  «rinnego  Dio»;  e  infine  «mi  do  al
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