Page 122 - Storia dell'inquisizione spagnola
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«[L’inquisitore]  tenga  conto  del  danno  rappresentato  dal

               potere  della  famiglia,  da  quello  del  denaro  o  dalla
               malevolenza e vedrà allora che sono molto rari i casi in cui
               potrà  rendere  pubblici  i  nomi  dei  delatori».  E  Peña  di
               rincalzo: «Nella giurisdizione inquisitoriale non si pubblicano
               più  oggi,  in  nessun  caso  e  da  nessuna  parte,  i  nomi  dei
               testimoni  e  dei  delatori  per  le  evidenti  ragioni  citate  da
               Eymerich».  Segue  poi  una  minuziosa  giustificazione,  al

               termine  della  quale  Peña  ammette  solo,  come  le
               Instrucciones  madrilene  del  1561,  la  possibilità  di
               comunicare all’accusato sulla data delle deposizioni il luogo
               e  la  data  del  reato.  Sempre  Peña  sconsiglia  formalmente,
               salvo  rarissime  eccezioni,  il  confronto  fra  testimoni  e
               accusato perché «se c’è confronto non c’è segreto» .
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                  L’intento è chiaro. Poiché, sotto la copertura del segreto,
               la  delazione  può  dilagare  e  l’Inquisizione  l’incoraggia
               vivamente,  ne  fa  un’opera  santa,  perfino  meritevole
               d’indulgenza,  e,  come  afferma  con  leggerezza  Eymerich,
               garanzia di salvezza eterna  . Tutte le delazioni sono accolte,
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               provenissero  anche  dagli  eretici  stessi,  da  scomunicati,
               infami, criminali, addirittura spergiuri. Viene respinta solo la

               testimonianza del mortale nemico dell’accusato, di colui che
               lo spagnolo chiama suo «nemico capitale».


                  Riguardo  al  segreto,  la  teoria  e  la  realtà  vissuta

               concordano. Nelle quarantanove domande che costituiscono
               l’interrogatorio delle visite d’ispezione fatte agli inquisitori,
               la  sesta  concerne  il  rispetto  del  segreto.  E  la  lettura
               integrale  dei  quattro  processi-verbali  delle  visite  (Cordova
               1577  e  1597;  Siviglia  1611  e  1628)  ci  ha  convinto  che
               l’ispettore inquisitoriale si preoccupava molto di controllare
               il rispetto del segreto. E infatti, nei processi di cui abbiamo

               letto  gli  atti,  la  regola  del  segreto  funziona  perfettamente.
               Almeno  in  apparenza.  Quando  i  giudici  danno  lettura  agli
               accusati  delle  testimonianze  raccolte  contro  di  loro,  si
               prendono  ben  cura  di  omettere  non  solo  l’identità  dei
               testimoni,  ma  anche  le  circostanze  che  permetterebbero  di
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