Page 103 - Storia dell'inquisizione spagnola
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effigie dei contumaci: «In caso di condanna in contumacia, è

               bene  innalzare  un  simulacro  del  contumace  sul  quale  si
               esporrà  un  cartello  con  il  nome  e  il  ceto  sociale  del
               condannato  e  lo  si  consegnerà  al  braccio  secolare,
               esattamente come si farebbe se il contumace fosse presente
               [...]  pratica  molto  lodevole,  di  cui  l’effetto  terrificante  sul
               popolo è evidente».
                  Il  risultato  non  lascia  alcun  dubbio.  Il  Santo  Uffizio

               diffonde il  terrore,  instilla  la  paura  negli  animi  dei  ricchi  e
               dei poveri, dei dotti e degli ignoranti, degli ecclesiastici e dei
               contadini.  Teresa  d’Avila  stessa  lo  constata,  anche  se  essa
               non  si  spaventa  affatto:  «Vennero  a  trovarmi  delle  persone
               molto  allarmate,  mi  dissero  che  attraversavamo  tempi
               difficili, che forse sarebbe stata elevata un’accusa contro di

               me  e  che  rischiavo  di  dover  comparire  davanti  agli
               Inquisitori.  Ma  queste  parole  mi  divertirono  e  mi  fecero
               semplicemente ridere. Io non ho mai avuto la minima paura
               a questo riguardo».
                  Incrollabile  sicurezza  o  incoscienza?  Perché,  dopo  tutto,
               Louís  de  León,  l’arcivescovo  Carranza,  potevano  dar  da
               riflettere a Teresa. In ogni caso, il popolino non aveva questa

               sua  sicurezza.  L’Inquisizione  era  il  più  temibile  lupo
               mannaro con cui la gente si minacciava vicendevolmente alla
               prima parola sbagliata. O più caritatevolmente si metteva in
               guardia: «Attento a ciò che dici»: di avvertimenti di questo
               genere, riferiti dai testimoni, sono piene le pratiche. Così a
               Granada  una  donna  ben  intenzionata  consigliava  a  una

               giovane         moriscos          di     abbandonare             le     sue      pratiche
               musulmane,  altrimenti  l’avrebbero  bruciata  in  quel  Santo
               Uffizio.  Un  altra  morisca  chiede  alla  sua  interlocutrice
               cristiana  di  tacere  su  ciò  che  le  ha  confidato  «perché  a
               Granada si brucia». E quando si giunge all’arresto, esso può
               suscitare un tale terrore, una tale disperazione, che conduce
               a  volte  al  suicidio,  come  quel  mercante  di  Valladolid,  un

               converso  di  origine  portoghese,  Diego  Mendez,  che  si
               impiccò nella sua cella nel 1625; come il converso valenciano
               Rafael  Bario  che  fece  altrettanto;  o  come  il  sarto  morisco
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