Page 102 - Storia dell'inquisizione spagnola
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IV
L’INQUISIZIONE O LA PEDAGOGIA DELLA
PAURA
La paura e le sue ragioni
Nel maggio 1652, una grave sommossa scoppiò a Siviglia e
nelle altre città andaluse: il brusco rialzo dei prezzi dei
generi di prima necessità, dopo tre anni di malattie, di
miseria e di fame, fece scendere il popolo in piazza, lo spinse
ad assaltare l’arsenale dove si armò. Per diversi giorni la
popolazione di Siviglia, padrona della città, saccheggiò i
granai, aprì le prigioni, liberando i detenuti. Ma si guardò
bene dal toccare le prigioni dell’Inquisizione: «Singolare
eccezione — commenta Antonio Dominguez Ortiz — che
dimostra il rispetto atterrito che essa (l’Inquisizione)
incuteva».
È vero: per tre secoli, l’Inquisizione ha dominato mediante
la paura. L’ordine che ha ispirato era la misura stessa della
paura. Gli inquisitori più coscienziosi si sono augurati di
ottenere questo risultato: la paura doveva innalzare il più
insormontabile degli ostacoli sui sentieri dell’eresia.
Francisco Peña, ripubblicando nel 1578, attualizzato, il
Manuale degli inquisitori scritto alla fine del Trecento da
Nicolau Eymerich, stampato una prima volta nel 1503, e che
sembra fosse il manuale più diffuso (sarà ristampato nel
1585 e nel 1587), è molto esplicito: «Bisogna ricordare che
lo scopo principale del processo e della condanna a morte
non è salvare l’anima al reo, ma procurare il bene pubblico e
terrorizzare il popolo (ut alii terreantur). [...] Nessun dubbio
che istruire e terrorizzare il popolo con la proclamazione
delle sentenze, l’imposizione dei sanbenitos sia una buona
azione». E così quando si tratta di giustificare l’esecuzione in