Page 35 - Un fisico in salotto
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bene  interpretato  in  termini  di  corpuscoli  di  luce.  Il  fenomeno  in  questione  è

          chiamato effetto fotoelettrico.
             Utilizzando una sorgente di luce gialla, facciamo cadere un raggio di luce su una
          superficie metallica. Ebbene, con opportune apparecchiature possiamo osservare che
          dalla superficie del metallo viene emesso un certo numero di elettroni al secondo.
             Come sappiamo, gli elettroni sono tra le particelle che costituiscono gli atomi; non
          è difficile immaginare allora che l’urto di ciascun fotone abbia fatto ‘schizzare via’

          un  elettrone  dal  metallo,  imprimendogli  dunque  una  certa  velocità:  è  questo  il
          fenomeno che viene chiamato effetto fotoelettrico .
             Cosa si osserva se invece di una si usano due sorgenti di luce identiche? Ebbene,
          si  osserva  un  numero doppio  di  elettroni  che  lasciano  l’oggetto,  ogni  secondo,
          sempre con la stessa velocità di prima.
             Utilizziamo  adesso  luce verde  anziché  gialla:  si  ha  lo  stesso  fenomeno  di
          emissione  di  elettroni  ma  questa  volta  la  velocità  con  la  quale  fuoriescono  gli

          elettroni dal metallo è maggiore di quella che si osserva con la luce gialla.
             Possiamo andare avanti con l’esperimento e renderci conto che, se inviamo luce
          blu anziché verde, otteniamo elettroni ancora più veloci. E così via: più ci spostiamo
          dalla parte dei colori che nello spettro solare cadono verso il violetto (e oltre), più
          otteniamo elettroni dotati di grande velocità.
             Viceversa, andando dal giallo verso l’arancione, la velocità degli elettroni emessi

          diventa via via più piccola fino a ridursi a zero: in altre parole, per esempio con
          luce rossa, non si ha più effetto fotoelettrico.
             In termini di fotoni, queste circostanze possono essere interpretate in modo molto
          semplice:  fare  l’esperimento  con  due  sorgenti  anziché  una  sola,  aumentando  così
          l’intensità luminosa, equivale a raddoppiare il numero di fotoni che vanno a cadere
          sull’oggetto e che quindi in un secondo fanno sfuggire un numero doppio di elettroni.
             D’altro  canto,  indipendentemente  dall’intensità  della  sorgente,  l’esperimento  ci

          indica  che  i  fotoni  che  compongono  la  luce  verde  hanno  evidentemente  energia
          maggiore  di  quelli  che  compongono  la  luce  gialla  poiché,  quando  colpiscono  un
          elettrone sulla superficie del metallo, questi ultimi fuoriescono con una velocità più
          elevata.
             Per  contro,  la  luce  rossa  non  produce  effetto  fotoelettrico:  ciò  vuol  dire  che  i

          fotoni  non  hanno  in  questo  caso  energia  sufficiente  a  liberare  un  elettrone  dalla
          superficie del metallo.
             L’effetto fotoelettrico ci suggerisce dunque cosa distingue la luce rossa dalla luce
          verde.  Semplicemente, il colore della luce è la manifestazione visiva dell’energia
          dei fotoni che la compongono. Evidentemente il nostro occhio e il nostro cervello
          reagiscono  in  misura  diversa  a  seconda  dell’energia  dei  fotoni  che  cadono  sulla
          retina e questa reazione si traduce proprio nella sensazione che chiamiamo ‘colore’.
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