Page 32 - Nietzsche - Genealogia della morale
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quotidiana,  qualcosa,  cioè,  che  continuamente  veniva  sempre  e  di  nuovo  sottolineata;  di

      conseguenza, invece di scomparire dalla coscienza, di diventare obliabile, essa vi si impresse
      con sempre maggiore chiarezza. – Quanto più razionale è invece la teoria opposta (che non per
      questo  è  più  vera  –)  sostenuta  per  esempio  da  Herbert  Spencer,  che  riconosce  come
      sostanzialmente analoghi, il concetto di «buono» e quello di «utile» e «funzionale», così che
      nei giudizi di «buono» e «cattivo» l’umanità avrebbe sommato e confermato proprio le sue
      esperienze inobliate e inobliabili su quello che è utile e funzionale, dannoso e non funzionale.
      Secondo questa teoria, è buono ciò che da sempre si è dimostrato utile, con ciò esso può farsi

      valere come «valido al massimo grado» e «valido in sé». Come ho già detto, anche questa via
      di  spiegazione  è  falsa,  ma  la  spiegazione  è,  per  lo  meno,  in  se  stessa  razionale  e
      psicologicamente fondata.

         4.
         L’indicazione della via giusta mi è stata offerta dal problema di ciò che le definizioni di

      «buono»  coniate  dalle  diverse  lingue  debbano  realmente  significare  dal  punto  di  vista
      etimologico, e così ho scoperto che esse conducono tutte alla stessa metamorfosi concettuale
      –  che  dovunque  «aristocratico»,  «nobile»,  nel  senso  di  condizione  sociale,  sono  i  concetti
      fondamentali  da  cui  discende  necessariamente  il  concetto  di  «buono»,  nel  senso  di
      «spiritualmente  aristocratico»,  e  «nobile»,  nel  senso  di  «spiritualmente  superiore»,
      «spiritualmente privilegiato»: sviluppo questo che corre sempre parallelamente a quell’altro,
      che fa slittare l’idea di «volgare», «plebeo», «infimo», in quella di «cattivo». L’esempio più

      eloquente  di  questo  slittamento  è  la  stessa  parola  tedesca  «schlecht»  [cattivo],  identica  al
      termine  «schlicht»  [semplice]  –  si  vedano  anche  «schlechtweg»  [semplicemente],
      «schlechterdings» [assolutamente] – e che indicava originariamente l’uomo comune, semplice,
      ancora incapace di sospetti e di sguardi obliqui, solo come contrasto con l’uomo aristocratico.
      Intorno  all’epoca  della  guerra  dei  vent’anni,  cioè  abbastanza  tardi,  questo  significato  si

      trasformò in quello oggi comune. Ciò mi sembra, rispetto alla genealogia della morale una
      acquisizione essenziale; se ci si è arrivati solo tanto tardi, ciò è dovuto all’influenza frenante
      esercitata dal pregiudizio democratico all’interno del mondo moderno su tutti i problemi che
      riguardano le origini. E questo sin nella sfera, all’apparenza la più oggettiva, della scienza
      naturale  e  della  fisiologia  come  accenneremo  qui  brevemente.  Il  disordine  che  questo
      pregiudizio, dopo essersi sfrenato sino a trasformarsi in odio, ha prodotto in particolare nella
      storia e nella morale, è testimoniato dal famigerato caso Buckle; il plebeismo  dello  spirito
      moderno, di origine inglese, esplose ancora sul suolo patrio con la violenza di un vulcano

      limaccioso e con tutta quella retorica saporita, fracassona e volgare, con cui sino ad oggi i
      vulcani hanno parlato.

         5.
         Per  quello  che  concerne  il  nostro  problema,  che  a  buon  diritto  può  essere  definito  un

      problema  tacito  e  che,  esigente  come  è,  si  rivolge  solo  a  poche  orecchie,  è  di  non  lieve
      interesse, lo stabilire che spesso in quelle parole e in quelle radici che definiscono l’idea di
      «buono» sia ancora diffusa la luce di quella sfumatura di base che permise ai nobili di sentirsi
      uomini di rango superiore. È vero che forse nella maggior parte dei casi essi si definiscono
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