Page 31 - Nietzsche - Genealogia della morale
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azioni non egoistiche, lodate per  abitudine  sempre  come  buone,  furono  anche  sentite  come

      tali, come se fossero in se stesse qualcosa di buono». Lo si vede immediatamente questa prima
      deduzione ha già in sé tutti i tratti tipici della idiosincrasia degli psicologi inglesi – abbiamo
      «l’utilità»,  «l’oblio»,  «l’abitudine»,  e,  per  finire,  «l’onore»,  tutto  come  base  di  una
      valutazione  di  cui  l’uomo  superiore  è  stato  fino  a  oggi  orgoglioso,  come  di  una  sorta  di
      privilegio  dell’uomo  in  generale.  Questo  orgoglio  deve  essere  umiliato,  questa  valutazione
      deve essere svalutata: siamo arrivati a tanto?… Ora, per me è prima di tutto evidente il fatto
      che questa teoria cerca e pone il nucleo originario, vero e proprio, del concetto di «buono»

      nel luogo sbagliato; il giudizio di «buono» non discende da coloro ai quali viene dimostrata
      bontà! È invece piuttosto vero che sono stati gli stessi «buoni», cioè i nobili, i potenti, gli
      uomini di ceto superiore e di sentimenti elevati a sentire e definire se stessi e le loro azioni
      come buoni, cioè di prim’ordine, e in antitesi a tutto ciò che è volgare, di sentimenti volgari,
      comune e plebeo. Basandosi su questo pathos della distanza essi si sono attribuiti il diritto di
      creare valori, di inventare definizioni dei valori, l’utilità non li interessava affatto! Il punto di

      vista della utilità, proprio in rapporto a un tale ardente traboccare di supremi giudizi di valore
      che  fissino  o  definiscano  una  gerarchia,  è  quanto  di  più  estraneo  e  inadeguato  si  possa
      pensare: qui infatti il sentimento è arrivato a una opposizione con quel basso grado di calore,
      presupposto di ogni sagacia calcolatrice, di ogni calcolo utilitario, e noi una tantum, non per
      un’ora  eccezionale,  ma  durevolmente.  Il  pathos  dell’aristocrazia  e  della  distanza,  come  ho
      detto, il duraturo e dominante sentimento totale e basilare di una specie superiore e dominante
      nei confronti di una specie inferiore, di un «sotto», questa  è  l’origine  dell’opposizione  tra

      «buono» e «cattivo». (Il diritto signorile di imporre nomi, risale così indietro nel tempo, che
      si sarebbe autorizzati a ritenere l’origine della lingua stessa come espressione di potenza di
      chi era al potere: essi dicono «questo è questo e questo» e con un suono impongono il loro
      sigillo a cose e avvenimenti e, così facendo, se ne impossessano). Si deve a questa origine il
      fatto  che  il  termine  «buono»  non  si  ricollega  di  necessità,  sin  dagli  inizi,  ad  azioni  «non

      egoistiche», come crede la superstizione di questi genealogisti della morale. È vero invece
      che solo con la decadenza dei giudizi di valore aristocratici si impone sempre di più alla
      coscienza  umana  tutta  questa  opposizione  tra  «egoistico»  e  «non  egoistico»  –  si  tratta,  per
      usare  la  mia  lingua,  dell’istinto  gregario,  che  con  essa  acquista  infine  parola  (o  anche
      parole). E anche a questo punto ci vorrà ancora molto tempo perché questo istinto acquisti
      tanta  forza  che  l’apprezzamento  morale  dei  valori  si  fissi,  si  àncori  proprio  a  questa
      opposizione (come è, ad esempio, il caso dell’Europa odierna: oggi il pregiudizio secondo cui
      «morale», «non egoistico», «désintéressé» sarebbero concetti equivalenti, domina già con la

      violenza di un’idea fissa e di una malattia mentale.

         3.
         In secondo luogo poi, prescindendo completamente dalla insostenibilità storica di quella
      ipotesi  sull’origine  del  giudizio  di  valore  «buono»,  essa  soffre,  in  se  stessa,  di  una

      contraddizione  di  ordine  psicologico.  L’utilità  dell’azione  non  egoistica  deve  essere
      l’indagine della sua lode, e questa origine deve essere stata dimenticata, – ma come è mai
      possibile questo oblio? Forse che l’utilità di tali azioni ha cessato un bel giorno di essere
      tale?  È  invece  vero  il  contrario:  questa  utilità  è  stata  piuttosto,  in  ogni  epoca,  esperienza
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