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40 Novelle Hans Christian Andersen
subito un altro, piccolino piccolino. Fiutarono l'abete, e si ficcarono tra mezzo ai rami.
«Fa tanto freddo...» — dissero i due topolini: «Se non fosse freddo, si starebbe abbastanza
comodi quassù; non le pare, vecchio abete?»
«Non son punto vecchio,» — disse l'abete: «Ce ne sono molti e molti più vecchi di me.»
«Di dove viene?» — domandarono i topolini «E che nuove porta?» (Erano terribilmente
curiosi.) «Ci racconti, la prego, del più bel paese del mondo. C'è stato lei? È stato nella dispensa,
dove ci sono i formaggi sopra gli scaffali, e i prosciutti pendono dalla travatura, dove si può ballare
sui pacchi di candele, dove si va dentro magri e si esce grassi grassi?»
«Non conosco questo paese;» — rispose l'abete: «Ma conosco il bosco, dove il sole splende
e gli uccelli cantano.»
E allora raccontò del tempo della sua giovinezza.
I topolini, che non avevano mai udito nulla di simile, stavano attenti; poi dissero: «Quante
cose ha vedute lei, signor abete, e come dev'essere stato felice!»
«Io?» — esclamò l'abete, e ripensò a tutto quello che aveva raccontato: «Sì, davvero che
quelli erano tempi felici!» Ma poi raccontò della sera di Natale, quand'era tutto carico di dolci e di
candeline.
«Oh!» — disse il topo più piccino: «Come dev'essere stato felice lei, nonno abete!»
«Ma non sono nonno, non sono vecchio io!» — disse l'abete: «Sono uscito dal bosco appena
quest'inverno. Sono nel fiore dell'età; gli è soltanto che sono cresciuto un po' in fretta.»
«Che magnifiche novelle sa raccontare lei!» — disse il topolino.
E la notte dopo, vennero con altri quattro topolini a sentire quello che l'albero sapeva
raccontare così bene; e più raccontava, e più chiaro gli si riaffacciava il ricordo di tutto, e pensava:
«Quelli erano tempi lieti! Ma possono tornare. Anche Zucchettino-Durettino cadde dallo scalino,
ma poi sposò la Principessina.» E allora l'abete ripensò ad una graziosa betulla, che cresceva nella
foresta; per l'abete, quell'alberella era una vera Principessa.
«Chi è Zucchettino-Durettino?» — domandò il topo più piccolo.
L'abete gliene raccontò tutta la storia. La ricordava parola per parola; e i topolini, dalla gioia,
per poco non gli saltarono sino in vetta. La notte dopo, vennero addirittura in frotta; e la domenica
comparvero persino due ratti; ma questi dissero che la storia non era bella, e ai topolini ciò
rincrebbe, perchè ora non piaceva più tanto nemmeno a loro.
«Non ne sa altre, novelle?» — domandarono i ratti.
«Non so che questa;» — rispose l'albero: «La udii nella più bella serata della mia vita: non
sapevo, allora, quanto fossi felice.»
«È una storia molto meschina. Non ne sa una di prosciutti e di candele di sego? non sa
storielle di dispensa?»
«No,» — disse l'albero.
«E allora, servi devoti!» — dissero i ratti; e tornarono alle loro famiglie. Anche i topolini
alla fine se ne andarono; e l'abete sospirò, e disse:
«Era bello, però, quando mi stavano tutti attorno, quei cari topolini così allegri, ed
ascoltavano i miei racconti. Ora, è finita anche questa. Ma mi ricorderò di essere contento quando
mi levano di qui».
Quando lo levarono? Mah! Fu una mattina che la gente di casa venne su a frugare per tutto il
solaio: le grandi casse furono scostate, e l'albero fu scovato fuori: veramente, lo buttarono a terra
con certo mal garbo; ma poi un domestico lo strascinò subito sulla scala, alla luce del giorno.
«Ah! la vita ricomincia!» — pensò l'abete.
Sentì la prima aria fresca, i primi raggi di sole, e si trovò fuori, in un cortile. Tutto ciò era
accaduto così rapidamente, che l'albero aveva dimenticato di guardare a se stesso: c'era tanto da
guardare intorno a lui!... Il cortile confinava con un giardino; e nel giardino, tutto era in fiore: le
rose pendevano fresche e profumate al disopra del piccolo steccato; i gigli erano in piena fioritura, e
le rondini gridavano «Videvit! Videvit! Viene mio marito-marit!» Ma non intendevano già con
questo di parlare dell'abete.
«Ora sì, che vivrò!» — disse l'abete tutto allegro, e distese un po' più le braccia... Ma,
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