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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

            salotto furono spalancate, ed una frotta di bimbi irruppe correndo, come se volessero rovesciare
            l'albero ed ogni cosa: i grandi li seguirono, con più calma. I piccini rimasero muti, a bocca aperta...
            oh, ma per un minuto soltanto: poi, principiarono a fare un chiasso così indiavolato, che la stanza ne
            rimbombava; e si misero a ballare rumorosamente intorno all'albero, e tutti i regali furono colti dai
            rami, uno dopo l'altro.
                   «Che fanno?» — pensava l'albero: «Ed ora, che cosa accadrà?»
                   Le candele andavano consumandosi, e quando  erano tutte bruciate, sino al ramo, si
            spegnevano. Dopo che furono spente, fu permesso  ai bambini di spogliare l'albero. Ah, ci si
            avventarono sopra con una furia, che tutti i rami scricchiolarono. Se la vetta non fosse stata
            assicurata al soffitto per mezzo della stellina di similoro, sarebbe certo caduto a terra.
                   I bambini ballavano per la stanza con i bei balocchi nuovi. Nessuno guardava più l'albero,
            all'infuori della vecchia bambinaia, che gli si accostò e spiò tra i rami; ma soltanto per vedere se mai
            un fico od una mela vi fosse rimasta dimenticata.
                   «Una novella! una novella!» — gridarono i bambini, e strascinavano verso l'albero un
            piccolo signore grasso; ed egli vi si sedette sotto: «Così saremo in un bel bosco verde,» — disse; «e
            l'albero avrà la fortuna di sentire la novella. Ma non ve ne posso raccontare che una sola. Volete
            quella di Ivede-Avede, oppure quella di Zucchettino-Durettino, che cadde giù dallo scalino, ma poi
            tornò su, e fu rimesso in onore e sposò la Principessa?»
                   «Ivede-Avede!» — gridarono alcuni. «Zucchettino-Durettino!» — urlarono gli altri; e ci
            furono strilli e ci furono anche pianti. L'abete solo rimaneva zitto zitto e pensava: «O io? Che non ci
            abbia ad entrare?» Ma egli aveva avuto la sua parte nei divertimenti della serata, ed aveva dato,
            oramai, quello che da lui si voleva.
                   E il signore grasso raccontò di Zucchettino, che era caduto giù dallo scalino, ma poi era
            salito ai più alti onori ed aveva sposato la Principessa. E i bambini batterono le mani e gridarono:
            «Un'altra! un'altra! Raccontane  un'altra!» perchè ora volevano la novella di Ivede-Avede; ma
            dovettero accontentarsi di quella di Zucchettino. L'abete se ne stava zitto zitto, tutto pensieroso: mai
            gli uccelli del bosco avevano raccontato una storia simile. «Zucchettino era caduto, e pure era
            tornato in onore, ed aveva sposato la Principessa! Sì, così accade nel mondo!» — pensava l'abete, e
            credeva che fosse tutto vero verissimo: quegli che aveva raccontato la storia era un signore così per
            bene!... «Dopo tutto, chi può dire mai nulla? Forse che anch'io cadrò, e poi sposerò una
            Principessa!» Ed in tanto si rallegrava tutto al pensiero d'essere adornato di nuovo, la sera dopo, con
            tanti lumicini e tanti balocchi, e frutta e lustrini: «Domani non tremerò mica più!» — pensava:
            «Sarò, in vece, tutto felice del mio splendore. Domani, sentirò di nuovo la storia di Zucchettino-
            Durettino, e forse, chi sa? imparerò anche quell'altra, di Ivede-Avede...»
                   E l'albero rimase fermo tutta la notte, a pensare.
                   La mattina entrarono i domestici e la cameriera.
                   «Ecco che ora ricomincia il mio splendore!» — pensò l'albero. Ma, in vece, fu portato fuori
            del salotto, e su per la scala, sin nel solaio, in un angolo buio, dove nemmeno arrivava un raggio di
            sole.
                   «Che significa questa faccenda?» — pensò l'albero: «Che vogliono che faccia qui ? Ed ora,
            che cosa accadrà?»
                   E si appoggiò al muro, e stette lì a pensare, a pensare. E tempo n'ebbe sin troppo, perchè
            passarono i giorni e le notti, e mai che venisse alcuno; e quando finalmente uno capitò, non fu se
            non per deporre in un angolo certe grandi casse. Così l'albero rimaneva ora del tutto nascosto:
            probabilmente, lo avevano dimenticato.
                   «Fuori è inverno, ora» — pensava l'albero: «la terra è dura e coperta di neve, e non
            potrebbero piantarmi; sarà per questo che mi tengono qui al riparo sin che non torni la primavera.
            Quanti riguardi! Che buona gente! Ah, se non fosse questo buio e questa terribile solitudine!.... Mai
            che si veda nemmeno un leprattino! Era bello, però, il bosco, quando c'era la neve alta, e la lepre
            passava correndo; sì, anche quando mi passava sopra d'un salto... Allora, mi faceva arrabbiare...
            Che malinconia in questa solitudine!»
                   «Piip, piip!» — disse a un tratto un topolino, e fece qualche passo avanti; e poi ne venne

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