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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

            ne andò.
                   Il giorno dopo... Ma, già, è meglio che saltiamo a piè pari la giornata, e che arriviamo alla
            sera dopo. La sera dopo  il fanale riposava tranquillamente su di un seggiolone impagliato. E
            indovinate un po' dove? Per l'appunto nella casa del lampionaio. Egli aveva domandato per favore
            al signor Ispettore di poter tenere il fanale  per sè; la domanda aveva dapprima fatto ridere
            l'Ispettore; ma poi, in vista dei lunghi e fedeli servigi, il piccolo favore gli era stato accordato.
                   Ecco dunque il vecchio fanale sul seggiolone, accanto al fuoco. Pareva persino divenuto più
            grande, ora che occupava un seggiolone tutto  per sè! I due vecchi, che stavano cenando, lo
            guardavano affettuosamente e gli  avrebbero volentieri fatto posto alla loro tavola. Quantunque
            abitassero una specie di cantina, due braccia al disotto del livello della strada, e per arrivare alla
            camera bisognasse traversare un andito di pietra, dentro si stava bene, e ben riparati, perchè sulla
            porta erano inchiodate le sue brave cimosse di panno, per impedire gli spifferi. Tutto spirava
            l'ordine e la nettezza; il letto aveva il parato, e le piccole finestre, le tende. Su uno dei davanzali,
            stavano due curiosi vasi da fiori, che Cristiano, un marinaio amico, aveva portato dalle Indie. Erano
            di semplice creta e rappresentavano due elefanti; il dorso dei due animali era cavo, e fuor dalla
            terra, di cui erano ripieni, spuntavano nell'uno certi bei porri — e quello era l'orto: nell'altro, un bel
            geranio — e quello era il giardino. Dalla parete, pendeva una grande stampa colorita, rappresentante
            il Congresso di Vienna; e lì avevate, tutti in una volta, tutti i Re e gli Imperatori del mondo. Un
            orologio con grandi pesi di ottone faceva sempre tic-tac! — e veramente correva sempre un po'
            troppo; ma i due vecchi dicevano ch'era molto meglio così, più tosto che se fosse rimasto a dietro.
            Essi cenavano, ed il fanale se ne stava, come vi ho detto, sul vecchio seggiolone, vicino al fuoco.
            Gli pareva che tutto il mondo fosse andato a soqquadro. Ma quando il vecchio lampionaio lo
            guardò, e parlò di tutto quanto avevano sopportato insieme, alla pioggia, alla nebbia, nelle brevi
            chiare notti d'estate, e nelle lunghe notti d'inverno, quando la neve cadeva a falde, ed egli non
            vedeva il beato momento di tornarsene a casa, nella cantina ben riparata, — allora il fanale si sentì
            riavere, si raccapezzò di nuovo, e vide tutto chiaro e presente, come accadesse proprio in quel
            momento. Sì, il Vento gli aveva accesa dentro una preziosa fiammella!
                   I due vecchi erano ingegnosi ed attivi: non perdevano in ozio nemmeno un'ora. Nel
            pomeriggio della domenica, capitava sempre nella stanzuccia un libro o l'altro — un libro di viaggi
            per lo più; ed il vecchio leggeva forte, dell'Africa e delle vaste foreste, dove gli elefanti corrono a
            frotte; e la vecchia ascoltava attenta attenta, e  dava un'occhiata senza parere ai due elefanti di
            terracotta che servivano da vasi.
                   «Mi par quasi di vederli» — diceva.
                   Il fanale si struggeva che portassero lì una  candela di cera, e gliel'accendessero dentro,
            perchè allora la vecchia avrebbe potuto vedere ogni cosa, sin  nei più minuti particolari, per
            l'appunto come li vedeva lui: i grandi alberi, col fitto viluppo di rami, e i negri nudi, a cavallo, e le
            torme di elefanti, che si facevano strada tra i cespugli, fracassando i rami e le canne con le grosse
            zampe.
                   «A che giovano tutti i miei doni, se non posso avere una candela di cera?» — sospirava il
            fanale: «Non hanno che lumi a olio e candele di sego; e quelle non servono!»
                   Un giorno capitò nella cantina un bel mucchietto di mozziconi di cera, avanzo di non so
            quale illuminazione: i più lunghi furono consumati, e i più corti servirono alla buona donna per
            incerare le agugliate. Candele di cera, dunque, ora ce n'erano; ma nessuno pensò a metterne una nel
            fanale.
                   «Che me ne faccio, di tutte le mie preziose facoltà?» — pensava il fanale: «Mi tengo tutto
            dentro e non posso farne parte a loro! Nemmeno  sospettano, poveri vecchi, che potrei ricoprire
            queste quattro pareti dei più magnifici arazzi, o pure tramutarle in boschi solenni, o in quant'altro
            mai sapessero desiderare!»
                   Il fanale, però, era tenuto in ordine, e ben ripulito, e stava tutto lucente in un angolo, dove
            attirava gli sguardi di ognuno. Agli estranei sembrava, veramente, un'anticaglia inutile; ma i due
            vecchi non lo volevano sentir dire, perchè gli erano affezionati.
                   Un giorno — era il natalizio del lampionaio — la vecchia si accostò alla lanterna, sorridendo

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