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QUEL CHE UNA PIANTA SA

               se soprattutto nella cura dell’aspetto esterno della vostra abi­
               tazione. Ma in un’area flagellata da forti venti, oppure ad alto
               rischio di terremoti, le risorse devono essere concentrate nella
               realizzazione di fondamenta e di strutture solide.
                  Ciò è vero non solo per gli alberi, ma anche per la nostra
               piccola pianta di senape Arabidopsis thaliana che abbiamo in­
               contrato nel primo capitolo. Una pianta di arabidopsis che in
               laboratorio viene toccata alcune volte al giorno sarà più rac­
               colta in se stessa e fiorirà molto più tardi rispetto a una lasciata
               crescere spontaneamente. Il semplice accarezzare le sue foglie
               tre volte il giorno ne modifica completamente lo sviluppo fisico.
               E anche se per essere osservato tale cambiamento nella crescita
               complessiva richiede vari giorni, la risposta cellulare è in realtà
               assolutamente rapida. Di fatto, Jane Braam e colleghi della Rice
               University hanno dimostrato che sfiorare appena una foglia di
               arabidopsis porta come conseguenza un rapido cambiamento
               nella costituzione genetica della pianta.
                 La scoperta di questo fenomeno è avvenuta per un  caso
               assolutamente fortuito, una vera e propria serendipità. Dap­
               principio, come giovane ricercatrice alla Stanford University,
               Braam era interessata non all’effetto del tatto, ma ai programmi
               genetici attivati dagli ormoni vegetali. In uno degli esperimenti
               ideati per chiarire l’effetto dell’ormone gibberellina sulla bio­
               logia vegetale, la donna spruzzò questo ormone sulle foglie di
               arabidopsis e poi controllò quali geni fossero stati attivati dal
               trattamento. Constatò che erano stati attivati rapidamente nu­
               merosi geni, e immaginò che questi stessero rispondendo alla
               gibberellina. Ma si scoprì che la loro attività aumentava anche
               quando a quest’ultima si sostituivano diverse altre sostanze,
               persino l’acqua.
                  Senza darsi per vinta, Janet Braam perseverò nei suoi studi,
               cercando di capire perché questi geni venissero attivati per­
               sino dall’acqua. E per lei fu un vero momento da  “Eureka!”
               quando si rese conto che il fattore comune nei trattamenti era
               la sensazione fisica di essere spruzzati con le varie soluzioni.
               La studiosa ipotizzò, quindi, che i geni da lei scoperti stesse­
               ro rispondendo al trattamento fisico delle foglie, e per mettere


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