Page 49 - Via Crucis
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A chi vanno i soldi dei poveri?
L’esempio più dirompente viene dall’Obolo di san Pietro. Di cosa si tratta? «È l’aiuto
economico che i fedeli offrono al santo padre – spiega con chiarezza il sito del
Vaticano – come segno di adesione alla sollecitudine del successore di Pietro per le
molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità a favore dei più
bisognosi. […] Le offerte sono destinate alle opere ecclesiali, alle iniziative umanitarie
e di promozione sociale, come anche al sostentamento delle attività della Santa sede. Il
papa si preoccupa anche delle necessità materiali di diocesi povere, di istituti religiosi
e di fedeli in gravi difficoltà (bambini, anziani, emarginati, vittime di guerre e disastri
naturali, vescovi di zone disagiate e in condizione di necessità, profughi e migranti…).»
I pontefici hanno sempre valorizzato la missione caritatevole di questa iniziativa,
sollecitando la generosità dei fedeli. «È l’espressione più tipica – sottolineava
Benedetto XVI – della partecipazione di tutti i fedeli alle iniziative di bene del vescovo
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di Roma.» Il valore centrale della carità si ritrova anche nell’enciclica Deus caritas
est (2006), dove Ratzinger rimarca che la «Chiesa non può mai essere dispensata
dall’esercizio della carità come attività organizzata dei credenti e, d’altra parte, non ci
sarà mai una situazione in cui non occorra la carità di ciascun singolo cristiano, perché
l’uomo, al di là della giustizia, ha e avrà sempre bisogno dell’amore». 42
Eppure, bilanci e conti alla mano – che abbiamo potuto consultare direttamente – si
scopre che la gestione di questo obolo è un mistero, coperto dal più impenetrabile
segreto. Ogni anno viene pubblicamente diffuso il dato di raccolta ma non è esplicitato
come esso sia gestito. In altre parole, si dice quanti soldi arrivano dai fedeli ma non si
rivela come vengano spesi. Anzi, su questo aspetto è sempre stato mantenuto il più
assoluto riserbo.
Ecco che allora scatta l’operazione di verifica della task force di Francesco. I membri
della commissione pontificia Cosea vogliono vederci chiaro, intuiscono che qui si
gioca una partita decisiva, al cui esito è legato anche il loro futuro. E capiscono che c’è
qualcosa che non va quando, dopo la lettera del luglio 2013 con la quale il responsabile
della Prefettura Versaldi chiedeva bilanci, dati e documenti a tutti gli enti del Vaticano,
sull’obolo non è arrivata nessuna risposta. Né entro il termine indicato dal porporato,
né per tutto l’autunno. Solo qualche cenno informale ed evasivo, ma nulla di scritto.
Nessun documento chiaro, formale, esaustivo.
Che sia il classico atteggiamento usato per temporeggiare e far cadere l’attenzione sul
problema che si vuole eludere? In questi casi, anziché rispondere negativamente, si
preferisce dare segnali parziali, coinvolgere altri soggetti, far finta di non capire,
magari dicendo che i documenti sono andati smarriti. Una strategia apparentemente
casuale, che però alla fine deve avere insospettito i membri di Cosea e i consulenti
finanziari di McKinsey, Kpmg e Promontory Financial Group ingaggiati dalla