Page 68 - Peccato originale
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fragilità, per quel suo dolce sorriso che qualche anno dopo
farà il giro del mondo, ma contrariamente a quanto si
possa pensare è tutt’altro che accomodante e remissivo.
Porta avanti con vigore le proprie idee. Non è abituato ad
arretrare. Non ama i compromessi.
Marcinkus lo ascolta senza reagire. Nessuna
interruzione, nessuna replica. Il patriarca di Venezia si
rende conto che il suo interlocutore lo sta ascoltando per
cortesia, ma con nessun timore e neanche interesse per le
questioni che vengono sollevate. Il presidente dello Ior
ostenta una freddezza e una sicurezza fuori dal comune.
Sembra che niente possa scuoterlo. Ogni interrogativo
sollevato da Luciani rimane così senza risposta.
L’appuntamento dura solo pochi minuti ma segnerà una
distanza incolmabile tra i due uomini, destinata ad
aumentare negli anni successivi. Una divergenza su tutto,
a iniziare dall’interpretazione del Vangelo. Luciani,
proprio come oggi papa Francesco, voleva una Chiesa
povera, condizione per lui necessaria per essere credibile;
Marcinkus invece sapeva contare meglio i soldi che le Ave
Maria del rosario. Il fatto che fosse stato Paolo VI a
indirizzare il suo futuro successore verso Marcinkus, e che
quest’ultimo l’avesse trattato in quel modo, rende ancora
più inquietante il mistero del rapporto tra i due: il papa e
il banchiere. Insomma, perché il pontefice avallava
quell’uomo? Una domanda senza risposta, soprattutto per
Albino Luciani, pastore dai modi schietti, originario di
Canale d’Agordo, piccolo paese incastonato tra le
Dolomiti, dedito all’agricoltura, che contava appena
duemila anime nel 1912, anno di nascita di colui che
diventerà uno dei papi più amati della Chiesa.
Luciani esce dall’ufficio di Marcinkus scuro in volto e
disorientato. A chi lo accompagnava, il patriarca riferisce
un’unica frase pronunciata dal potente banchiere in
tonaca, poche e affilate parole che lo avevano turbato,
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