Page 70 - Peccato originale
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Italia: Paolo VI aveva affidato l’incarico a Marcinkus e a
                un  consulente  fiscale  assai  efficiente,  il  siciliano  Michele

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                Sindona.   Sindona era in piena ascesa: l’Italia degli affari
                si  rivolgeva  a  lui  per  ogni  spericolata  operazione

                finanziaria.  Non  solo.  Da  un  lato  Sindona  costruiva  i
                canali finanziari per riciclare i soldi della mafia, vantando
                tra  i  suoi  clienti  boss  come  l’italoamericano  Joe  Adonis,

                della  famiglia  di  don  Vito  Genovese.  Dall’altro
                s’impegnava  senza  sosta  per  trasferire  all’estero  le

                partecipazioni  societarie  che  il  Vaticano  raccoglieva  in
                portafoglio: dall’immobiliare Bastogi, la più antica società
                italiana  quotata  in  Borsa,  ancora  in  attività,  all’industria

                Pastanella.  Un’opera  incessante,  portata  avanti  grazie
                all’alleanza  di  ferro  con  Marcinkus  e  Roberto  Calvi,  il

                banchiere milanese che proprio Sindona aveva presentato
                al  presidente  dello  Ior,  appena  eletto  al  vertice

                dell’istituto. Sindona intrecciava gli interessi di mondi, la
                mafia  e  il  Vaticano,  che  ai  più  apparivano  lontani.  I  tre

                arrivarono  a  condizionare  e  manipolare  gli  andamenti
                della  Borsa  di  Milano,  creando  un  blocco  di  potere
                protetto  da  sponde  potenti  come  la  loggia  massonica

                Propaganda  Due,  dove  il  maestro  venerabile  Licio  Gelli,
                amico  di  Marcinkus  e  in  buoni  rapporti  con  Paolo  VI,

                chiamava a sé chi copriva ruoli apicali nella magistratura,
                nelle  forze  armate  e  di  polizia,  nella  politica  e

                nell’imprenditoria. Nel 1973 Sindona venne acclamato da
                tutti  come  il  «salvatore  della  lira»,  secondo  una

                definizione  di  Giulio  Andreotti,  che  lo  considerava
                protettore dei nostri mercati ma anche dell’establishment
                politico e finanziario.

                    Il  problema  non  erano  solo  gli  affari  dello  Ior,  che
                veniva usato senza remore da uomini e società di Sindona

                e  Calvi  con  il  benestare  di  Marcinkus.  C’è  un’altra
                clamorosa  verità  che  deve  essere  raccontata,  una  verità
                che emerge solo oggi, a quarantacinque anni di distanza,




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