Page 69 - Peccato originale
P. 69
rimaste fino a oggi sconosciute: «Lei pensi a seguire la
diocesi – aveva detto l’americano salutando il suo ospite –
che io penso a far sopravvivere la Chiesa». Un tono duro,
sprezzante, rivelatore di un uomo potentissimo in
Vaticano, che con un manipolo di laici controllava in
modo assoluto la ragnatela finanziaria della Santa sede.
All’epoca, per Marcinkus, Albino Luciani non era nessuno,
non rappresentava certo un problema, era solo uno dei
tanti vescovi italiani che si lamentava di questioni che non
gli competevano. Ma il banchiere dello Ior non poteva
immaginare che, appena sei anni dopo, quel veneto dal
sorriso dolce sarebbe stato votato in conclave come
successore di Paolo VI, scegliendo il nome di Giovanni
Paolo I. Marcinkus non poteva sospettare che quel nuovo
papa, con determinazione mai più vista fino a oggi,
avrebbe cercato in ogni modo d’imporre trasparenza nella
gestione del potere e delle finanze in Vaticano. 7
Un ottimo movente
Perché Marcinkus poteva permettersi di rispondere in
quel modo? Dall’inizio degli anni Settanta gli era stata
affidata una missione strategica: risollevare le finanze
vaticane finite in una pericolosa morsa. E doveva farlo in
fretta. Dopo la morte di Giovanni XXIII, le offerte dei
fedeli erano precipitate, passando da 19 a 5 miliardi di
vecchie lire. All’orizzonte impauriva anche la tagliola
fiscale: con l’ingresso dei socialisti al governo, l’Italia
andava a introdurre la tassazione dei dividendi. Per la
Santa sede questo voleva dire nuove pesanti imposte,
calcolate su investimenti azionari per un tesoro pari a 1
miliardo e 200 milioni di euro di oggi.
Per evitare questa scure fiscale, bisognava procedere a
una rapida dismissione degli investimenti azionari in
72