Page 20 - Peccato originale
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che rappresenta un evento eccezionale nella storia di
quella chiesa: si tratta della seconda tumulazione
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avvenuta in oltre due secoli. Una scelta davvero
particolare, in deroga al diritto canonico. Da parte sua,
Carla Di Giovanni, la vedova De Pedis, ha sempre cercato
di minimizzare sia il fatto, sia la responsabilità dell’allora
rettore della basilica, don Piero Vergari, ricostruendo così
quanto accaduto:
Dopo la morte di Enrico […] lo seppellimmo nella tomba della nostra
famiglia al Verano. Il monsignore Vergari, in quei giorni, mi ricordò la
frase che disse Enrico, non ricordo quali furono le parole del
monsignore ma il senso era che Enrico avesse piacere di essere
sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare. A questo punto risposi che
non sarebbe stata possibile una cosa del genere, invece lui mi disse
che trattandosi di una chiesa extraterritoriale non occorrevano
permessi particolari a eccezione del nulla osta del cardinale vicario di
Roma, all’epoca card. Poletti. Aggiunse che sarebbe stata una buona
occasione per risanare i locali della cripta, che ricordo erano
fatiscenti, bui e molto umidi. Il monsignore si interessò ad avviare la
pratica per la sepoltura scrivendo due lettere al cardinal Poletti, una
nella quale indicava le opere di bene che Enrico aveva fatto in vita,
l’altra che noi ci saremmo impegnati a restaurare i locali della cripta.
Ci recammo con mons. Vergari dal card. Poletti io e mio cognato
Marco. Dopo qualche giorno fu rilasciato il nulla osta e [il corpo di
Enrico, nda] fu trasferito dal Verano a Sant’Apollinare, il 24 aprile
1990. I lavori di restauro dei locali dove si trova la tomba furono
eseguiti da personale del Vaticano. 3
Si compone un triangolo su cui si concentra l’attenzione
dei magistrati: da un lato uno dei presunti uomini forti
della banda della Magliana, morto da incensurato prima
dei processi, che spopolava negli anni della scomparsa di
Emanuela; dall’altro il rettore di Sant’Apollinare,
monsignor Vergari, rimasto in carica fino al 1991 e legato
per anni da un rapporto di amicizia profonda proprio con
Renatino De Pedis. Un’amicizia nata, secondo la
testimonianza della vedova De Pedis, negli anni in cui il
marito era detenuto a Regina Coeli. Pur non essendo
cappellano del carcere, il monsignore si recava lì per
raccogliere le confidenze dei detenuti e impartire
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