Page 16 - Peccato originale
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Tre mesi prima, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo
incontra nel suo ufficio presso il tribunale di Roma, al
primo piano del palazzo, un ufficiale dei carabinieri che ha
chiesto un appuntamento urgente. I due si conoscono
troppo bene per girare intorno alle questioni. Così, dopo
qualche veloce convenevole, l’ufficiale porta la
conversazione sull’inchiesta per la scomparsa di Emanuela
Orlandi, inchiesta che proprio Capaldo coordina con i
sostituti procuratori Ilaria Calò e Simona Maisto.
Dal giorno della scomparsa, undici magistrati, tra
giudici istruttori, pubblici ministeri e procuratori aggiunti,
si sono alternati sul caso, ma ogni indagine è sempre finita
su un binario morto. È dal 2008 che Capaldo cerca di
rivitalizzare l’inchiesta, rivedendo le piste battute e
inseguendo nuovi filoni da approfondire. È quindi
immaginabile la curiosità e l’attenzione del magistrato
quando capisce che il militare intende portare il dialogo
proprio su quel caso. «Sulla questione di Emanuela –
sibila l’uomo – dal Vaticano esprimono interesse a
incontrarla.» Con cortese sollecitudine, fa intendere
roteando la mano e stringendola leggermente a pugno.
Capaldo non si scompone, aderendo al suo stile
pragmatico e compassato. Ma si lascia sfuggire una
studiata espressione di sorpresa, per compiacere chi,
attraverso quel carabiniere, sta richiedendo un confronto
diretto. Certamente quest’ultimo verrà informato di ogni
reazione del magistrato. In realtà Capaldo non è affatto
sorpreso. Soddisfatto sì, e molto, ma preferisce non farlo
vedere. Meglio non dare un vantaggio al suo interlocutore,
e soprattutto a chi ha spinto l’ufficiale a farsi avanti. Il
procuratore dà la sua formale disponibilità. L’ufficiale si
congeda rapidamente, concordando di fissare a breve
l’appuntamento.
Così, a partire dal novembre del 2011, dai sacri palazzi
arriva alla magistratura italiana un concreto segnale di
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