Page 99 - Io vi accuso
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ricapitalizzazione, dopo otto anni di crisi e di credit crunch, è divenuto
imprescindibile. Dal 2011 la musica è cambiata. Non a caso, l’esigenza di un
riequilibrio nel rapporto tra i mezzi propri e l’indebitamento è considerata
così importante per il rilancio dello sviluppo economico del paese da essere
stata oggetto di specifiche previsioni già dal cosiddetto decreto «Salva
Italia» del governo Monti. È stato, infatti, introdotto nell’ordinamento
tributario un istituto denominato «Aiuto alla crescita economica» che,
attraverso il riconoscimento di un regime fiscale di favore, intende
stimolare operazioni di conferimenti a patrimonio da parte dei soci.
Un’agevolazione che permetta alle imprese una deduzione dal reddito
imponibile commisurata agli incrementi dati dal nuovo capitale.
Questa tipologia di finanziamento, erogato in unica soluzione dalla
banca all’azienda, prevede – solo da parte dei soci – la restituzione
all’istituto della somma prestata attraverso rate mensili. I vantaggi sono
numerosi a cominciare dalla minore dipendenza diretta dell’impresa dal
mondo del credito. E allora mi chiedo: come mai le banche, negli anni delle
vacche grasse, non hanno proposto alle piccole società questa soluzione –
che esiste da circa quindici anni – così da capitalizzarle e dar loro il
necessario ossigeno? Come mai hanno continuato a concedere altre
tipologie di prestiti (mutui e fidi a breve) che hanno alterato
definitivamente l’equilibrio finanziario delle aziende? Semplice: per i
profitti.
Gli istituti, infatti, non avevano alcun interesse, dal momento che
ritiravano le fideiussioni dei singoli soci, a piazzare un prodotto che,
rispetto al classico mutuo o scoperto di conto corrente, generava molti
meno ricavi. A questi, oltretutto, come ben sappiamo, era possibile
abbinare polizze assicurative, diamanti, frigoriferi e televisori.