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Come far rinascere l’impresa italiana
Il dramma dei bilanci aziendali
Il bilancio di una piccola e media impresa dovrebbe prevedere (anche
questa volta non uso a caso il condizionale) tre voci. «Attivo»: il denaro
contante; il saldo creditore presso le banche; le fatture non ancora
incassate nonché beni come veicoli, macchinari, immobili. «Passivo»: i
saldi debitori presso le banche (affidamenti); fatture non ancora pagate; le
tasse da regolare; il capitale sociale ovvero i soldi messi dai soci per far
partire e vivere l’azienda. «Patrimonio netto»: la differenza tra «attivo» e
«passivo» che ci dice la sostanza netta, l’effettiva ricchezza della società.
Bene, in buona parte dei casi, in Italia, il bilancio di una piccola e media
impresa non esprime nulla di tutto questo, non rappresenta mai o quasi
mai l’esatta fotografia dell’azienda. Di solito il «capitale sociale» è di
10.000 euro e, per di più, viene solo deliberato e mai versato; il magazzino
è sovrastimato per motivi fiscali; gli immobili (quando si possiedono) sono
iscritti in bilancio a valori più bassi rispetto a quelli di mercato; i crediti
verso clienti e i debiti verso i fornitori contengono perdite conclamate e
contenziosi ormai accertati; compaiono ammortamenti ancora in essere di
beni ormai logori e superati; gli utili risultano annacquati: questa è la vera
istantanea della stragrande maggioranza delle imprese italiane.
Una realtà che le banche conoscono da sempre ma sulla quale hanno
lasciato correre per anni. Almeno fino a quando non hanno deciso, obtorto
collo per le decisioni di Basilea, la stretta del credito, dimenticandosi del
passato e della loro complicità nell’affossare i clienti. Oggi, quindi, sono
necessarie, per la sopravvivenza dell’azienda, alcune accortezze
fondamentali che deve prendere per primo l’imprenditore.