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Il bilancio famigliare e la ricapitalizzazione aziendale
Nelle imprese famigliari si commette sistematicamente l’errore di non
ripartire gli eventuali utili alla fine dell’esercizio ma di considerare gli
stessi come degli anticipi sui probabili redditi. La maggior parte dei piccoli
imprenditori (sistematicamente nelle imprese famigliari), infatti, ha la
percezione che la finanza di un’azienda altro non sia che un cassetto dal
quale attingere soldi per fini personali: pagare la retta scolastica dei figli,
mettere la benzina all’auto o comprare il regalo per il matrimonio di un
parente. Dovrebbe essere la norma che solo al 31 dicembre di ogni anno un
imprenditore possa sapere se abbia realizzato utili o perdite e solo a quel
punto possa capire quanto spendere per le proprie esigenze personali
oppure quanti soldi debba mettere – nel caso sia andato in negativo – di
tasca propria per ripristinare il capitale. Quelli famigliari sono dei costi che
molto spesso determinano degli scompensi finanziari e liti tra eventuali
soci. Da lì, se non se ne ha consapevolezza, il fallimento è a un passo. Ecco
il motivo per cui è necessario che tutte le piccole imprese predispongano il
budget famigliare attraverso un programma Excel che prenda in
considerazione tutte le spese possibili e immaginabili cui va incontro la
famiglia nel corso dell’anno: statisticamente sono i costi più difficili da
tenere sotto controllo.
Un discorso a parte merita l’analisi del livello di patrimonializzazione
delle piccole aziende italiane che nascono, vivono e muoiono con un
capitale sociale quanto più basso possibile: i classici 10.000 euro. La storia
dell’imprenditoria nostrana degli ultimi cinquant’anni ci insegna che
quando le piccole imprese producono utili non pensano mai a metterli
parzialmente nella cassa al fine di aumentare il patrimonio della società.
Puntualmente venivano utilizzati dall’imprenditore per comprare e
intestare la casa ai figli, per viaggiare o farsi la macchina. È chiaro che con
un patrimonio così scarno con cui foraggiare i nuovi investimenti o il
capitale circolante (magazzino, stipendi), le piccole imprese non abbiano
potuto fare a meno di rivolgersi al credito bancario arrivando a una leva
finanziaria (un indice che misura l’indebitamento di un’azienda e che è
rappresentato dal rapporto tra il totale delle fonti di finanziamento e il
capitale proprio) senza uguali tra i paesi più industrializzati dell’Occidente.
In tale contesto, le banche non hanno avuto altra alternativa che ritirare le
garanzie personali (fideiussioni) dei famigliari al fine di salvaguardare i
loro impieghi di denaro. Pertanto, i fidi concessi, sebbene non garantiti dal
patrimonio dell’azienda, erano tutelati dal capitale personale dei soci. Che
interesse avevano quindi gli istituti a spingere un sistema (quello delle
piccole imprese) a patrimonializzarsi? Nessuno. Oggi però il problema della